Facciamo canestro!
Questa storia comincia da un campo polveroso a Marza, quartiere di Ngaoundere, capoluogo della regione Adamaoua, nel Nord del Camerun. È un campo senza storia, almeno finché un giorno un’associazione locale dal nome impronunciabile, Habden Ngam Django, non vi pianta un seme nuovo, un centro di formazione per ragazzi, anche loro senza storia. Accanto a quel seme, su un fazzoletto di terra rossa livellato alla meglio, l’associazione prepara un campo, ai cui lati troneggiano i canestri da basket. I ragazzi che vi passano accanto guardano incuriositi, mettendo da parte la proverbiale indolenza di chi non vede un domani. Arriva la palla e si compie un miracolo, di quelli che nessuno racconta: i ragazzi accorrono, si muovono veloci, si passano la palla, cercano il canestro, urlano concitati, ed ecco il salto sopra le teste, la palla infila la retina, un boato di gioia e il gioco è fatto: non sono più ragazzi qualsiasi, sono una squadra. Non c’è più spazio per stare a guardare la vita che scorre senza un perché, è ora di giocare la partita. Là dove c’è poco, il futuro può cominciare anche così.
Habden Ngam Django in lingua fulbé significa «impegniamoci per il domani», a riprova che anche i «canestri educativi» cominciano dalle idee, dall’amore per quelli che verranno dopo di noi. Ciò che più stupisce è che a capo di questa associazione locale c’è una donna italiana, Giulia Migliavacca, di 37 anni, arrivata in Camerun da Abbiategrasso (MI) quando ne aveva 25 e faceva l’educatrice volontaria in un orfanotrofio dell’Opera missionaria della Mater Orphanorum. «Alla fine di quell’esperienza – racconta –, ho maturato l’idea di realizzare un progetto a favore della gioventù di Ngaoundere, ma solo l’appoggio di amici e professionisti locali ha portato alla nascita dell’associazione, nel 2016». A Marza, come nel resto del Camerun, la popolazione giovanile è dominante, ma non ci sono sufficienti opportunità formative ed esperienze di crescita, tagliate su di essa. «Le conseguenze di questa situazione sono abbandono scolastico, disoccupazione, droga, ma soprattutto scoramento. Un’ipoteca sul futuro del Paese» spiega Giulia.
La missione dell’associazione è lo sviluppo integrale dei giovani, organizzando proposte educative e formative sia per recuperare i percorsi scolastici che per formare al lavoro. Importante anche l’opera di sensibilizzazione sui problemi giovanili, l’avviamento di piccole imprese, l’organizzazione di eventi culturali e sportivi. Ma è appunto la parte sportiva a essere la più carente: il campo di basket, già precario di suo, mostra segni di usura ed è ormai in pendenza. Giulia scrive a Caritas sant’Antonio, presenta un progetto semplice e concretissimo che chiama «Basket per un ben essere et ben fare» e chiede la ristrutturazione del campetto. Il totale è di 5 mila euro.
I frati accettano. Quando i ragazzi vedono gli operai affannarsi sul loro campetto è un giorno di festa, l’eccitazione è a mille. Giulia raccoglie le loro voci: «Quando gioco a basket mi sento libero da certe preoccupazioni, libero come il vento, sono contento e mi sento apprezzato e considerato dagli altri» afferma Wilfride, 22 anni. Una gioia condivisa da Kevin, 14 anni: «Il basket è la mia passione, quando gioco sono contento, specie quando posso praticarlo con i miei amici». Un benessere che non è solo sportivo, come specifica Esther, 22 anni: «Praticarlo mi permette di trovare un mio equilibro sotto tutti i punti di vista». Ma il più eloquente di tutti è Sylvestre – che ha circa 6 anni e uno sguardo da simpatica canaglia – di cui Giulia ci manda il video: «Il campo di basket nuovo? Est très jolie! È molto bello!!!».
Segui il progetto su www.caritasantoniana.org
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