Fragili, cioè uomini

In un’epoca in cui tutti siamo chiamati a essere «infrangibili», cioè prestanti, imbattibili, dobbiamo reimparare a essere fragili. Lo spiega Alessandro D’Avenia, nella sua ultima fatica letteraria
29 Dicembre 2016 | di

«Mi sembra che stiamo dimenticando l’arte di essere felici, e che quando lo siamo, per paura che lo stato di grazia sia un’illusione, lo condanniamo a esaurirsi, come un giardiniere che non si fida del seme di rosa a causa della sua piccolezza e fragilità, e per questo decide di non curarlo». Sono parole di Alessandro D’Avenia, il quale, pensando alla felicità, ha creduto bene di scrivere un libro su Giacomo Leopardi, il poeta pessimista per antonomasia, colui che nei lunghi anni di «studio matto e disperatissimo» della sua giovinezza, pareva aver smarrito ogni gioia di vivere. Qualcosa non torna. E allora abbiamo chiesto all’autore stesso il motivo di questa scelta, in apparenza così azzardata.

Msa. Perché, parlando di felicità, ha scelto di scrivere un libro su Leopardi?D’Avenia. Perché ha saputo abbracciare il lato notturno dell’esistenza, senza smettere di cercare la luce, anche quando si trattava di un barlume tenue. E noi, oggi più che mai, abbiamo bisogno di sapere se nel quotidiano, con le sue ombre, è possibile rinnovare questa fonte di luce. In tutti i notturni leopardiani c’è sempre una luce potente a rischiarare le tenebre. Perché Leopardi voleva scrivere un’opera che non fece in tempo a realizzare: Lettera ad un giovane del XX secolo. Aveva intuito in anticipo che cosa avremmo perso e di che cosa avremmo avuto bisogno. Unire verità e bellezza preserva dal suicidio, è un nutrimento per la vita interiore di ogni tempo. E oggi che la vita interiore delle persone è frantumata dal disincanto e dagli oggetti, un uomo capace di farti vedere il notturno della vita trovandoci, però, sempre dentro una luce è ciò di cui abbiamo bisogno più che mai. La fragilità di Leopardi non fu ricerca di commiserazione, ma trampolino di lancio verso la vita. Imparò ad abitare la malinconia della condizione umana con la sua debolezza e la trasformò in canto. In un’epoca in cui tutto si basa sull’essere infrangibili (parola che è l’opposto di fragile), cioè bellissimi, prestanti, veloci, imbattibili, pieni di like, dobbiamo riappropriarci della possibilità di essere fragili, cioè uomini.

Un libro su Leopardi che piace ai giovani. Com’è possibile? Il problema non è dei ragazzi, che stanno andando a prendersi ciò di cui hanno più bisogno: dare un senso alla vita che vivono, se proprio non vogliono precipitare nel nonsenso o nel qualunquismo. Inoltre Leopardi è un poeta che dice la verità proprio a questi ragazzi, ma lo fa condividendo le loro ansie, domande, paure. Con lui i ragazzi si sentono subito a casa, forse anche per quel corpo inadeguato che molti di loro sbeffeggiano, ma in fondo in fondo temono di avere… Leopardi in una sua lettera scriveva: «Io non ho bisogno di stima, né di gloria, né d’altre cose simili. Ma ho bisogno d’amore».

Ha detto che questo libro è un mistero. Ma anche che non è un mistero. Perché? Mistero perché non mi aspettavo questa reazione e così tanti lettori, ma non lo è perché so che quando lotti sulla pagina per cercare le parole perfette, allora la bellezza può anche «accadere». Come l’amore.

Ancora. Lo ha definito un atto di ribellezza più che di ribellione. Vale a dire? I poeti sono anche profeti, percepiscono in anticipo ciò che il proprio tempo perderà. Leopardi si era reso conto che avremmo perso ardore per la vita, presi dal facile ottimismo della nuova religione del progresso illimitato. Ma sapeva bene che l’unico progresso è interiore. Alla liquidità del mondo di oggi si risponde con la profondità della propria identità. Solo chi ha un’anima antisismica può resistere ai terremoti contemporanei, perché solo quando l’anima è pronta, allora sono pronte anche le cose e non viceversa. Leopardi ci ricorda come far fiorire ciò che c’è di umano nell’uomo, senza facili scorciatoie, ma abbracciando la vita con le sue contraddizioni, senza per questo smettere di creare qualcosa di bello. È ciò che chiedono soprattutto le nuove generazioni. E questo libro è una chiamata alle armi, una ribellione a colpi di bellezza, quella bellezza che ci risveglia e che ci chiede a che punto siamo con i doni della vita. Voglio arrivare sui titoli di coda della mia esistenza potendo dire: nulla è andato sprecato.

Ha debuttato il 15 novembre, al Carcano di Milano, con uno spettacolo teatrale che prende spunto dal libro. Di che cosa si tratta? Il teatro è parola in azione. Per questo ho deciso di portare gratuitamente in giro per l’Italia la bellissima storia di Leopardi e delle età della vita, che Leopardi seppe definire meglio di chiunque altro perché fu costretto a viverle più in fretta, più in profondità. Ogni tappa è un’arte da imparare: adolescenza o arte di sperare; maturità o arte di morire; riparazione o arte di essere fragili; morire o arte di rinascere. Tutto questo attraverso una Narr-Azione. Non si tratta di un monologo teatrale, di una parte recitata, ma di una parola che di volta in volta si nutre dei luoghi e degli incontri con le persone, diventando un racconto sempre nuovo, quante sono le serate. Il teatro diventa una notte di stelle, magari quella di san Lorenzo, quella in cui ci permettiamo il lusso di essere all’altezza dei nostri desideri e li leghiamo al movimento degli astri, come fece Leopardi dall’inizio della sua vita. Minuto dopo minuto, il pubblico è inserito in un vero e proprio esercizio di meraviglia, quello di chi scopre la poesia incastrata nella vita quotidiana, il sublime nell’ordinario, e risponde all’appello della bellezza cercando di replicarla. Solo la bellezza provoca quei rapimenti che costrinsero Leopardi a diventare poeta. A 21 anni aveva già scritto l’Infinito. E noi? Noi con le nostre fragilità, debolezze, fallimenti, non sembriamo titolati a far nulla di buono? Non è vero. Leopardi diventò il più grande poeta moderno proprio perché seppe trasformare la sua fragilità in canto, attraversandone le stagioni dell’incanto e del disincanto. Avrebbe avuto tutti gli alibi possibili, ma non si scusò mai di non essere all’altezza, perché decise di «fare qualcosa di bello al mondo, conosciuto che sia o no da altrui» come dice nello Zibaldone. Con la regia di Gabriele Vacis e le scenofonie di Gabriele Tarasco, io provo a trasformare un teatro in una classe senza muri, a cielo aperto, perché chiunque partecipi, a qualsiasi età, accompagnato da parola, musica, immagini e lettura dei capolavori leopardiani, possa sperimentare che la notte dei desideri è ogni notte e che la letteratura salva la vita, solo quando siamo disposti ad ascoltarla davvero. In un’epoca in cui sembra che siano titolati a vivere solo i perfetti, questo messaggio è importante.

Altre date in programma? Il racconto è stato a Milano, Palermo, Torino. Nel 2017 proseguirà in molte altre città tra cui Genova, Bologna, Bari, Napoli, Roma, Verona...

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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