I sogni spezzati dei ragazzi
Il 2020, anno bisestile, anno terribile, ha infranto i sogni. Il virus ha percorso ogni angolo della Terra. Ha raggiunto le isole più lontane e attraversato, come una tempesta, le metropoli del mondo. É arrivato ovunque. Ho pensato al Sars-CoV-2 anche come un alleato degli spietati poteri che stanno cancellando le speranza, i desideri, le ribellioni di una generazione di ragazzi. Lo scorso anno, il 2019, le piazze del mondo, da Hong-Kong a Santiago del Cile, da Beirut a Barcellona, erano insorte contro le ingiustizie, le corruzioni, le disuguaglianze. Sognavano la libertà, cullavano, ancora una volta, l’illusione di un mondo diverso. Il virus, questa volta, ha dato davvero una mano alla crudeltà del potere.
Se in Italia, la pandemia ha disperso le piazze delle Sardine (che di uno stare «stretti», uno accanto all’altro, avevano fatto una geniale arma politica), ben più grave è la situazione nel resto del mondo. Leggi spietate minacciano, reprimono, rinchiudono in galera i ragazzi che chiedevano democrazia a Hong-Kong. In Libano le proteste dell’autunno e dell’inverno avevano tentato di scassinare gli immutabili e corrotti equilibri politico-religiosi del Paese: in agosto, l’esplosione del porto ha devastato Beirut e molti ragazzi ora sognano solo la fuga dal Paese. Le proteste catalane e cilene si sono sbiadite.
Tramortiscono i destini disperati di Turchia ed Egitto. Il Mediterraneo, il nostro Mediterraneo, è lo scenario di una vera «guerra ai giovani». Ankara, il regime di Recep Tayyip Erdogan, persegue, con ferocia, ogni dissenso. In pochi mesi, fra aprile e questa estate, quattro giovani si sono lasciati morire di fame nelle prigioni turche. A questi artisti, avvocati, attivisti non era rimasto che il corpo come protesta per la violazione di ogni diritto umano. L’Europa non ha mosso un dito per salvarli: ricordiamoli i loro nomi, sono Helin Bölek, Mustafa Koçak, Ibrahim Gökçek, Ebru Timtik. Mentre scrivo è in pericolo di vita un giovane avvocato che da mesi e mesi rifiuta il cibo: si chiama Aytac Unsal, prego perché sia ancora in vita quando leggerete questa riga.
Ho scelto una foto di un momento di gioia: ragazze in un luna park ad Alessandria, in Egitto. Un’immagine di anni fa, quando le Primavere Arabe apparivano il primo di passo di una libertà possibile. Non è stato così: la generazione di piazza Tahrir al Cairo, come quella di Gezi Park a Istanbul, è imprigionata, condannata senza processi, costretta all’esilio: la prigionia di Patrick Zaky, studente a Bologna, sembra essere senza fine e senza giudizio. A maggio, nella prigione di Tora, conosciuto come «Lo Scorpione», è morto il giovane regista Shady Habash, colpevole di aver girato un video ironico contro il presidente Abdel Fattah al-Sisi. A luglio, aggredito dal virus, è morto in carcere il giornalista Mohamed Mounir, arrestato dopo un suo intervento alla televisione al-Jazeera. A Tora è rinchiuso anche Alaa Abdel Fattah, attivista e informatico, uno dei volti più noti delle Primavere Arabe: è stato costretto allo sciopero della fame perché gli sono negati medicinali e diritti elementari. A giugno sua sorella Sanaa, è stata arrestata da uomini in borghese davanti agli uffici dei giudici.
Penso, con impotenza furiosa, a Sarah Hegazi, attivista egiziana. Si è uccisa a giugno, in Canada: viveva in esilio, dopo essere passata per Tora, accusata di aver sventolato una bandiera arcobaleno durante un concerto. Ha lasciato un messaggio: «Un’esperienza troppo dura e io ero troppo debole per lottare». Al mondo, Sarah ha voluto dire: «Sei stato molto ingiusto, ma ti perdono». Essere giovani è pericoloso in questo 2020.