L’Università ai tempi del virus
I ragazzi di Rotondella, paese lucano ai confini della Calabria, si sono ritrovati, nei lunghi pomeriggi di questa estate, nella piccola biblioteca del paese. Sono quattro, cinque ragazzi, hanno fra i 18 e i 24 anni, gli anni dell’università. In questi giorni di settembre, un anno fa, stavano preparando le valigie per tornare al Nord. A Ferrara, a Milano, a Torino. Alcuni più vicino: a Matera. Per studiare ingegneria, scienze politiche, musica. Quest’anno non accadrà. O, forse, sì. A pochi giorni dall’inizio dei corsi, sono settimane di incertezza. Di indecisione.
Simone, 18 anni, primo anno di ingegneria: «Rinvio la partenza. I corsi saranno online. Aspetto la fine di dicembre. Per capire». Non ha ancora preso casa a Torino. Maria Teresa, 23 anni, primo anno di magistrale in Scienze Politiche, sempre a Torino: «Mi sono laureata online. A volte ho avuto il dubbio che i professori non mi ascoltassero. Ma salirò al Nord. Ho voglia di sedermi accanto a dei compagni di studio, almeno di conoscerli. Non riesco a concentrarmi a casa. Devo vedere anche gli altri studiare». Davide studia sassofono: «Studiare uno strumento esige un contatto fisico con i maestri. Ho lasciato casa a Matera a marzo. Sarà fatica ritrovarne un’altra». Davide, Simone e Maria Teresa amano il loro paese, ci stanno bene, ma sono preoccupati da un inverno da passare lontano dalle città di studio.
Il virus ha già cambiato la nostra vita. Ogni giorno ce ne rendiamo sempre più conto. Le Università, là dove sarà possibile, garantiranno lezioni «fisiche» per gli studenti del primo anno: una sorta di incoraggiamento ad iscriversi. Soprattutto al Sud. Alcuni ragazzi stanno pensando: se le lezioni sono online, posso risparmiare i costi di vivere altrove e iscrivermi così a una grande Università. Magari all’estero. Ma, ora, inizi di settembre, si cammina a vista, su un sentiero mai percorso prima. Silvana Kuhtz insegna «Linguaggi, futuro e possibilità» all’università di Basilicata: «Ho imparato molto nei mesi del confinamento. Io cerco uno scambio continuo con gli studenti, ho bisogno dell’aula, ma è anche accaduto che la frequenza sia cresciuta nei mesi del confinamento».
In questi giorni, Francesco Esparmer, docente di letteratura romanza ad Harvard, avrebbe dovuto già essere negli Stati Uniti. Quest’anno ha cominciato i suoi corsi online dalla Val di Non, in Trentino. Partenza rinviata anche per lui. Le Università nordamericane hanno già fatto sapere che tutto il prossimo anno sarà online. Come a Cambridge o a Oxford. Niente lezioni in aula, si cercherà di formare piccoli gruppi. «Temo che si confonderà un’emergenza con la normalità – avverte Esparmer –. Vi è la tentazione di trasformare la formazione online nell’inevitabile futuro della didattica». Mancherà la socialità dei compagni di corso. Non solo: «Le piattaforme di insegnamento online obbligano a vincoli, procedure, a privacy, imporranno limiti di tempo – teme Esparmer –. Corriamo il rischio di disattenzione e di una minor libertà».
Studenti e professori, nell’anno del Sars-Cov-2 e Covid-19, stanno avviandosi in una terra in gran parte sconosciuta. Cambia l’Università, cambia il modo di studiare e di vivere. É cambiato il mondo e facciamo finta di niente. Davvero, niente è uguale a prima.