Il cervello in una mano

La scrittura a mano in corsivo è da sempre un’alleata della conoscenza e dell’apprendimento, perché mette in moto tutte le nostre facoltà cognitive, favorisce l’articolazione del pensiero e della creatività, rafforza la memoria.
20 Ottobre 2025 | di

C’è chi conserva ancora il suo primo quaderno, quello su cui ha iniziato a scrivere: ecco le vocali, la a, la e, la o con quella specie di ricciolo appeso in alto a destra, poi le consonanti, la emme con le sue tre «gambe» e la effe, la più difficile, tutta curve e fronzoli... Scrivere a mano, fin da piccoli, non è un semplice atto meccanico ma è un aiuto fondamentale per scoprire il mondo, racchiuso in un esercizio di dedizione e di precisione. Gli esperti confermano che la scrittura a mano in corsivo è da sempre un’alleata della conoscenza e dell’apprendimento: quando si prendono appunti su un foglio o si fissano le idee per una lettera, si «mettono in moto» tutte le nostre facoltà cognitive, si favorisce l’articolazione del pensiero e della creatività, si rafforza la memoria. Nella mano che scrive sono concentrate tutte le funzioni del nostro cervello. È come una ginnastica per la mente.

Tutto questo non avviene allo stesso modo digitando su una tastiera o sullo schermo di uno smartphone, e purtroppo oggi se ne stanno già vedendo le conseguenze, in particolare tra i cosiddetti «nativi digitali», i giovani che fin dalla tenera età sono stati abituati a interagire perlopiù con dispositivi elettronici: «Di anno in anno cala sistematicamente e drammaticamente il livello delle loro competenze, e si vanno erodendo quelle che un tempo chiamavamo le “facoltà mentali”: memoria, capacità di attenzione e concentrazione, spirito critico», sottolinea Andrea Cangini, giornalista (ha guidato «Quotidiano Nazionale» e «Il Resto del Carlino»), già senatore della Repubblica, che dirige l’Osservatorio Carta Penna & Digitale da lui fondato presso la Fondazione Luigi Einaudi per promuovere l’importanza della lettura su carta e della scrittura a mano in corsivo. Negli ultimi dieci anni i disturbi dell’apprendimento degli studenti italiani sono aumentati del 357% (i ragazzi con i cosiddetti Dsa erano lo 0,7% e sono divenuti il 3,2%) e i casi di disgrafia del 163%: secondo dati dell’Unità operativa di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, il Nord Italia registra la crescita maggiore di ragazzi problematici. «Abbiamo ascoltato neurologi, psichiatri, grafologi e vari esperti: tutti hanno tracciato un quadro fosco sulle conseguenze legate all’abuso della tecnologia rispetto allo sviluppo delle facoltà cognitive», sottolinea Cangini. 

«Abbiamo a disposizione una quantità sufficiente di studi per dire che la lettura su schermo non è equiparabile a quella su carta. Allo stesso modo, la scrittura su tastiera non ha molto a che fare con quella a mano», sottolinea Pierluigi Brustenghi, neurologo e psicoterapeuta, autore anche di Intelligenti si diventa (Mondadori). «Questo tema è di centrale importanza soprattutto per la fase dello sviluppo cerebrale che coincide con l’adolescenza, quando l’elevata plasticità dei neuroni determina modifiche strutturali. Proprio questa fascia d’età ha un consumo intenso (e sempre meno legato al controllo dei genitori) dei media digitali». Gli adolescenti trascorrono online anche 5 o 6 ore al giorno e, secondo dati Nielsen, i ragazzi spediscono circa 3.300 messaggi al mese, le ragazze 4.050. Lo schermo ha sostituito libri, quaderni e taccuini. Secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), oggi uno studente su quattro ha difficoltà di analisi e comprensione di un testo scritto, e soltanto uno su venti riesce a cavarsela quando si trova di fronte a una lettura complessa. I dati Invalsi confermano che la media italiana è inferiore a quella dell’Ocse e la situazione è peggiorata proprio negli ultimi anni, quando la pandemia ha costretto a intensificare le lezioni in digitale. Molti ragazzi non sanno più scrivere in corsivo ma utilizzano soprattutto lo stampatello, ovvero il carattere più «immediato» e più vicino alla routine dei messaggi di Whatsapp o dei social. Alcuni non sanno neppure impugnare correttamente una penna o una matita.

Esiste insomma una relazione precisa tra la scrittura a mano e l’attività cerebrale. «Secondo tutte le ricerche, vengono sollecitate dodici aree cerebrali, mentre la digitazione su tastiera ne attiva soltanto due – fa notare Andrea Cangini –. Quando si scrive a mano, in corsivo, “lavora” l’emisfero sinistro del cervello, quello che sovrintende al pensiero logico lineare: altrimenti prende il sopravvento la parte destra, quella emotiva, che è importante, certo, ma va sempre bilanciata a quella razionale». Il neurologo Brustenghi aggiunge che quando si utilizzano i media digitali viene attivata in particolare la funzione visiva e soprattutto l’area V3 del cervello, quella collegata alle cose in movimento, piuttosto che la V2, dedicata alle cose ferme, che invece è stimolata molto dalla lettura cartacea. «Questo innesta un circolo vizioso nella plasticità del nostro cervello – spiega –. Meno facciamo una cosa, meno il nostro cervello sviluppa le aree che sono deputate a quel compito e quindi diventa molto più complicato riuscire a farlo. Il pensiero rapido prende il posto del pensiero lento e l’impulsività si sostituisce alla consapevolezza riflessiva». Già gli antichi avevano coniato una locuzione, Festina lente, ovvero «Affrettati lentamente», proprio per raccomandare a tutti di unire prontezza e attenzione, velocità e ponderazione. 

La scrittura a mano vs la digitazione: chi vince la battaglia? è il titolo di uno studio realizzato dal Policlinico Gemelli di Roma, in collaborazione con l’Osservatorio Carta Penna & Digitale, presentato lo scorso giugno. I risultati confermano la differente «qualità» della scrittura a mano, in corsivo. «La scrittura è un fenomeno complesso che richiede competenze diverse: percepire la penna e la carta, muovere lo strumento di scrittura e dirigere il movimento attraverso il pensiero – rimarcano gli specialisti –. Usare una penna significa prestare attenzione ad aspetti motori come disegnare lettere in modo leggibile, controllare la pressione della penna sulla carta, seguire le linee e gli spazi sulla pagina e coordinare pensiero, azione e visione. Questa integrazione multisensoriale è alla base delle capacità di memoria». 

Nella scrittura a mano, poi, è «scolpito» anche il nostro carattere, come ci ha confermato anche Candida Livatino, nota scrittrice e grafologa: «A me piace citare un detto del francescano conventuale fra Girolamo Moretti che è padre di questa disciplina: la mano traccia il gesto ma è l’anima che esprime la forma». Persino Steve Jobs, pochi anni prima di fondare la Apple, decise di seguire un corso di calligrafia e lo raccontò all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Stanford nel 2005: «Ho imparato a conoscere i caratteri serif e sans serif, a variare la spaziatura tra le diverse combinazioni di lettere, a capire cosa rende grande una tipografia. Era bellissimo, storico, artisticamente sottile in un modo che la scienza non può catturare, e l’ho trovato affascinante».

Scelta di consapevolezza

Difendere la scrittura a mano, in questa epoca di sviluppo impetuoso della tecnologia, può sembrare una causa «antiquata», una battaglia nostalgica o passatista, e invece è una scelta di consapevolezza. «Noi siamo i primi a riconoscere tutti i vantaggi della digitalizzazione in molti àmbiti della nostra vita. È difficile invertire la tendenza ma l’entusiasmo per il digitale non deve far gettare via tutto quello che c’è di buono nel “vecchio mondo” – dice Andrea Cangini –. Ci stanno ripensando anche alcune nazioni tra le più avanzate nell’adozione di strumenti digitali: la ministra dell’Istruzione svedese, Lotta Edholm, ha fatto un passo indietro decisamente coraggioso, e ha deciso di reintrodurre l’utilizzo di carta e penna anche nelle scuole materne, dove da qualche anno si utilizzavano i tablet». In questo senso – aggiunge il direttore dell’Osservatorio Carta Penna & Digitale – è apprezzabile anche la recente circolare del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che ha vietato l’utilizzo dei telefoni cellulari in orario scolastico pure alle scuole superiori: «Anche l’Istituto superiore di Sanità – si legge nel documento ministeriale – afferma che, tra le dipendenze comportamentali, l’uso problematico dello smartphone colpisce oltre il 25% degli adolescenti, con effetti negativi su sonno, concentrazione e relazioni». 

«È importante approfondire la nostra comprensione di come i vantaggi della scrittura a mano possano essere integrati con le tecnologie digitali per creare metodi ibridi che combinino l’impegno cognitivo della scrittura manuale con l’efficienza della digitazione», conclude il rapporto dei ricercatori del Gemelli. «Promuovendo la scrittura a mano, possiamo preservare una preziosa abilità e al tempo stesso sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia». È una sfida che riguarda i giovani, certo, ma prima ancora i genitori e gli insegnanti. Prendiamo un taccuino e una penna, e ripartiamo.

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Data di aggiornamento: 20 Ottobre 2025
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