Il confine della solitudine
Tre volti di donna, anzi quattro, perché c’è anche una bambina seria e dolce. Volti splendidi. Tre storie. Affilate e vere. Tre personaggi femminili, ciascuna madre e figlia dell’altra, nel senso che ciascuna si prende cura di quella che al momento è più fragile. Ciascuna è in cerca di affetto e attenzione, di riscatto e perdono. Ciascuna è ferita e diffidente, ma testarda, resistente come una pianta grassa su suolo arido. Viene combattuta una sola lotta, estrema e caotica, ma essenziale, per la verità, il riconoscimento femminile e la dignità umana. Per la redenzione, per quell’unico amore che può guarirle.
Operata di cancro al seno, una madre, Gina, riprende dopo la convalescenza la sua faticosa vita di dedizione ai quattro figli, ma registra il distanziamento affettivo del marito, spesso assente per il lavoro e spaventato dai segni del male. Si lascerà prendere da un uomo che la capisce e le vuol bene. La figlia maggiore, Mariana, adolescente, è divisa tra i primi amori e l’accudimento dei fratellini. Ciò che ella scopre degli adulti la sconvolge e la induce a una reazione scomposta, violenta al di là delle intenzioni. Anche questo trauma provoca cicatrici pesanti e insopportabili. Mariana fugge, ma non fa violenza al piccolo corpo che le cresce in grembo. La gravidanza si conclude felicemente e la puerpera accudisce come e finché può. Si sente indegna. Poi ci dovrà pensare il giovane padre, che farà anche da madre…
Mariana fugge per una strada sconosciuta, con un nuovo nome (Sylvia) e un nuovo lavoro. È inquieta, attratta da relazioni fugaci, circospette e transitorie. La vita scotta, non puoi appoggiarti sopra per riposarti. Antichi incubi potrebbero riaccendersi. Diventata responsabile di un elegante ristorante a Portland (Oregon), Sylvia si accorge di essere seguita da un giovane messicano che non intende sedurla occasionalmente, ma convincerla a conoscere una bambina, Maria, e a far visita al suo papà, Santiago, ricoverato per un incidente aereo (disinfestava le coltivazioni messicane). Santiago potrebbe essere amputato a una gamba. Ma prima, una straordinaria rivelazione incombe e lacererà l’atmosfera, liberandola.
In inglese plain è la pianura (quindi burning plain è una pianura che brucia), ma è anche l’aggettivo «chiaro, evidente, puro» e to plain sta per piangere, lamentarsi. Nel film The Burning Plain - Il confine della solitudine (USA 2008) la verità arriva tardi. Ma quando arriva taglia il filo del destino. Impone una decisione: giocarti per chi ami o perderti un’altra volta. Custodire un cucciolo o creare un altro orfano. La passione erotica incendia i corpi che la prosa dei giorni ha congelato e ammuffito. La carne si rigenera, le cicatrici si rimarginano e impediscono l’oblio. Il destino reclama una promessa, soffocata o urlata, ma piana, netta, lucida, leale.
Il regista, un grande romanziere e sceneggiatore messicano, Guillermo Arriaga Jordàn (Salvare il fuoco è uscito per Bompiani nel 2021, altri racconti per l’editore romano Fazi), smonta le trame e le alterna, avanti e indietro, lasciandoci il compito di ricomporre il puzzle e facendoci sperimentare la paura di sbagliare, di fraintendere, di venir delusi e di deludere, poiché il cinema è la finzione difficile che preme per diventare realtà, come in un parto distocico, delicato da gestire. Entriamo empaticamente, noi spettatori impauriti, nelle vite rotte e ustionate, scaldate da un vento messicano.
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