Il fiore della cura
«Poiché nel fiore c’è la speranza del frutto, giustamente nel fiore è raffigurata l’attesa sicura dei beni futuri. E poiché il fiore è in qualche modo l’inizio dei frutti futuri, per fiore s’intende quanto meno un cambiamento e un rinnovamento nell’impegno di progredire. Quindi nel fiore è raffigurata la sicura attesa dei beni futuri, ma anche un rinnovato impegno» (Sant’Antonio – Sermoni, La Risurrezione del Signore 8).
L’anno giubilare che stiamo attraversando ci invita a farci pellegrini nella speranza. A ben guardare, chi si mette in viaggio come pellegrino in qualche modo spera sempre. In che senso? Non solo spera che vi sia una meta da raggiungere, ma spera anche di poterci arrivare. Crede, cioè, in un luogo verso cui tendere, pur non avendolo mai né visto né conosciuto; e vede di poter adottare mezzi concreti per compiere il suo cammino. Per vivere il Giubileo nella speranza, dunque, occorre in primo luogo avere ben chiara la meta. Se non siamo in grado di identificarla, di riconoscerla come un punto d’arrivo di nostro interesse, a cui tendere con passione, non vi sarà nessun pellegrinaggio e nessuna speranza; nessun Giubileo. E anche l’«anno di grazia» rischierà di rimanere un insieme di iniziative più o meno esibite e scintillanti, ma con poco sapore di Vangelo.
Può venirci in aiuto – anche stavolta – la parola di sant’Antonio. Egli ci indica con chiarezza che la meta di chi spera è costituita dai «beni futuri», vale a dire la gioia, la libertà, la pienezza di comunione con Dio e tra di noi; beni di cui potremo fare esperienza pienamente e senza fine quando concluderemo il pellegrinaggio della nostra vita terrena. Questo è il frutto maturo. La cosa bella è che a questo frutto così buono e desiderabile noi possiamo orientarci con sicurezza di cuore proprio perché ne pregustiamo, già ora, delle anticipazioni affidabili e convincenti.
Tali «anteprime», nel linguaggio di Antonio, sono rappresentate dal «fiore». Speriamo nel frutto, infatti, solo poiché possiamo constatare la presenza di un fiore. E dunque possiamo sperare nel frutto gustosissimo della vita futura solo se vi è… quale «fiore»? Il Santo ce lo dice con chiarezza: il nostro cambiamento e rinnovato impegno. Il ragionamento potrà apparire alquanto contorto. Ma possiamo semplificarlo di molto e dire così: se la nostra meta è la comunione con il Signore e tra di noi, come fratelli e sorelle, allora i mezzi da impiegare sono quelli che ci mettono in gioco con «un rinnovamento nell’impegno».
Sappiamo che il Signore Gesù, quando prende la parola nella sinagoga di Nazaret (Lc 4), inaugura l’«oggi» della salvezza presentandosi egli stesso come fonte di libertà per gli oppressi, fonte di luce per i ciechi, fonte di grazia per chi si sente perduto. Ogni Giubileo trova il suo senso nell’unico anno di grazia inaugurato dal Signore Gesù. E starà alla nostra generosità operosa fare in modo che sboccino tanti fiori di speranza. Se non è il Vangelo dell’incontro che dà luce al nostro cuore, se non è il Vangelo del perdono reciproco che dà libertà alla nostra anima, se non è il Vangelo fatto di opere concrete con cui vicendevolmente ci faremo grazia, allora non vi sarà alcun frutto giubilare. Non avrà alcun senso fare viaggi, visitare basiliche, organizzare eventi se non saremo noi, per primi, a metterci all’opera per donarci i fiori promettenti della cura fraterna, dell’attenzione rispettosa. E scopriremo che i «beni futuri» sono beni già presenti oggi.
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