Il pastore educatore

Nel presepe, ad attrarre lo sguardo di chi scrive sono sempre i pastori, perché hanno parecchie e curiose analogie con gli educatori.
21 Dicembre 2022 | di

Natale è ormai alle porte ed ecco che, come per magia, le statuine del presepe riprendono vita, mentre io non posso fare a meno di soffermarmi su questi personaggi del passato ma, allo stesso tempo, ancora attuali. Non sto parlando di Gesù Bambino, di Maria e Giuseppe… Nemmeno dell’Angelo o dei Re Magi. Chi è che attira così tanto, allora, la mia attenzione tra la grotta e la stella cometa? Come sempre quei personaggi che sono soliti rimanere in fondo alla scena, pur garantendo quel tocco in più al contesto. Ebbene sì, mi riferisco proprio ai pastori. Incuriosito, mi sono messo a osservarli nel dettaglio e mi sono venute in mente alcune riflessioni che vorrei condividere con voi.

Innanzitutto mi sono chiesto se potesse esistere un legame tra la figura del pastore e quella dell’educatore, e ho notato che nelle rispettive quotidianità ricorrono cinque gesti particolari che li rendono parecchio simili. Il primo: il ruolo principale del pastore è quello di osservare il suo gregge. L’osservazione, infatti, è il passo iniziale fondamentale che un educatore compie per creare una buona relazione. Chi non sa osservare non può dare inizio a un percorso di conoscenza ed entrare in empatia con gli altri e le altre.

Da questo processo di osservazione deriva un’altra grande abilità del pastore: quella di riconoscere ciascuna delle sue pecore. Siamo abituati all’idea che le pecore siano tutte uguali, invece ognuna di esse porta con sé delle differenze. Alcune, per esempio, sono bianche e altre sono nere. E il pastore ha la tendenza a mettersi in relazione soprattutto con le «pecore nere», quelle che si disperdono fuori dal recinto. Come scrivevo qualche anno fa nell’articolo Natale con la pecora nera, anche quest’ultima ha una storia da raccontare: «Ognuna con la propria esperienza e specificità, può recitare un ruolo attivo e può dare e ricevere qualcosa dagli altri, per combattere la cultura dello scarto con la cultura dell’inclusione. “Inclusione” non significa fare in modo che tutte le pecore siano bianche, ma riuscire a dare un ruolo a tutti i tipi di ovini [...]». Allo stesso modo l’educatore può mettere in moto la cultura dell’inclusione, rispettando e valorizzando le differenze e le abilità di ciascuno e ciascuna.

Poi: il pastore non ha orari, lavora giorno e notte. L’educatore ha l’attitudine di arricchire il proprio lavoro con i suoi interessi e le sue predisposizioni, creando un filo conduttore molto sottile tra la sua vita privata e quella professionale. Ancora: l’educatore, come il pastore, si sporca le mani. Se non si mette in gioco non può porre le condizioni necessarie ad avviare i processi d’inclusione sociale e culturale. Infine, il pastore non guida «a forza» il gregge, ma lo accompagna. Questo lavoro di affiancamento viene svolto in primis dall’educatore che sostiene e supporta la persona nel suo progetto di vita.

Ci sarebbero tanti altri punti in comune tra le due figure, ma credo che già questi cinque gesti possano rendere bene l’idea del parallelismo. Mi raccomando, quando farete il vostro presepe, osservate con attenzione i pastori e il loro gregge! Vi auguro buon Natale! Scrivete a claudio@accaparlante oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.

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Data di aggiornamento: 21 Dicembre 2022

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