Il silenzio fecondo di Dio
Cuore. Silenzio. Tranquillità. Parole che hanno sapore di pace e di armonia. Che facilmente fanno nascere in noi la nostalgia di ordine interiore e di soste rasserenanti. Se pensiamo a sant’Antonio siamo però costretti a descriverlo come uomo di lunghi viaggi, per terra e per mare; di parole forti e chiare, rivolte generosamente all’attenzione di tante persone che lo ascoltavano affascinate. È dunque un messaggero itinerante, Antonio, che molto si è impegnato a raccontare in mille modi la notizia lieta del Signore Gesù.
Che cosa può voler dire, quindi, la sua esortazione a far sì che il nostro cuore sia tranquillo? Il nostro Santo non ha in mente il benessere quieto del riposo rigenerante, né lo stare in pace del ritiro vacanziero. Cose buone anche queste, certo. Ma qui si sta parlando d’altro. In primo luogo Antonio tratteggia velocemente il volto di un Dio che parla, di un Signore che ha tante cose da dirci; che non sa stare in silenzio, ma desidera interloquire con noi. Non nel tuono, nel fulmine, nel vento, negli spettacoli altisonanti che seducono la nostra immaginazione, ma nel dialogo personalissimo a tu per tu, cuore a cuore. Questo sembra essere il principale obiettivo del silenzio: disporre la nostra attenzione ad accogliere la parola a noi destinata. Una parola che, per Antonio, custodisce la segreta volontà di Dio. Chissà se la volontà di Dio non abbia a che fare con un segreto, probabilmente perché può venire alla luce solo quando è accolta con fiducia. Non prima. Come se il Signore, con delicatezza, volesse rendere nota la sua volontà per noi soltanto dopo che l’abbiamo fatta diventare vita della nostra vita.
Il cuore è dunque simbolo della nostra libertà, di quello spazio interiore in cui possiamo riconoscere la bellezza di ciò che il Signore ci invita a fare. E lo fa mediante la presenza degli altri che incontriamo, i fatti della nostra storia interrogata con intelligenza. Sant’Antonio ama giocare con le parole e tentare di recuperarne il significato più profondo cercandone l’etimologia. Qualcuno ritiene che «silenzio» derivi da silére, un verbo latino affascinante. Vorrebbe forse dire il rumore del grano che cresce, del grano maturo. Avete mai sentito il rumore del grano? Quello del vento che corre tra le spighe sì. Ma il rumore del grano? Quello no. È, appunto, silenzioso. Tuttavia non un silenzio sterile, ma il profumo di chicchi promettenti, che sanno già di pane. Forse è così anche la volontà di Dio: come un chicco di grano pronto a sprigionare vitalità.
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