La Veneranda Arca di sant’Antonio

Alla scoperta di una realtà che, dal 1396, affianca i frati nella gestione della grande Basilica, rappresentando il coinvolgimento della città nel rapporto con il suo Santuario.
11 Luglio 2023 | di

Chi entra nel chiostro della magnolia, collocato a destra della facciata della Basilica, dopo l’Ufficio informazioni trova una porta con la scritta: «Veneranda Arca di S. Antonio». Vi hanno sede la presidenza e gli uffici di questa antica istituzione che da secoli partecipa alla vita del complesso antoniano. Ma, forse, sono pochi quelli che conoscono la funzione di questo antico organismo, pensando che tutto dipenda dai frati che da sempre custodiscono la memoria di sant’Antonio. Così non è mai stato, né lo è ora. Ma andiamo con ordine. Fin dagli inizi, secondo la regola francescana, era fatto divieto ai frati di possedere e di maneggiare denaro nelle loro attività. Dovevano servirsi di «amici spirituali» per qualsiasi operazione economica, sempre più necessaria nello sviluppo dell’Ordine nei suoi insediamenti urbani. Il caso padovano del Santuario eretto in onore del Santo è emblematico.

Il cantiere, subito avviato dopo la rapida canonizzazione di Antonio, venne gestito da una commissione nominata dal Comune di Padova, affiancata dai frati della Basilica: fatto che mostra come la Basilica sia stata pensata e voluta come santuario civico, luogo identitario della città. Nel 1396 veniva istituzionalizzata la commissione mista, riconosciuta dal ministro generale dei frati Minori, Enrico d’Asti, con un proprio statuto e con il compito di gestire il patrimonio di donazioni pervenute. Considerevole era stata la donazione della grande tenuta (gastaldia) di Anguillara Veneta, fatta dal signore di Padova Francesco II da Carrara, per sdebitarsi della requisizione di oreficerie preziose e sacre che aveva compiuto, finalizzate al pagamento di truppe mercenarie. Il vasto possedimento, messo a frutto, è quello che per secoli ha garantito una base economica per la gestione della Basilica, fino al 1972, quando, non senza polemiche, venne venduto a privati. 

Dal 1396, ufficiale inizio del suo compito, per secoli la Veneranda Arca di sant’Antonio ha rappresentato il coinvolgimento della città nel rapporto con il suo Santuario. I quattro membri, chiamati con il nome di massari (mutato poi in presidenti), erano figure rappresentative della nobiltà e della cultura chiamate a gestire gratuitamente questo rapporto, che venne riconosciuto anche con il sopravvenire del dominio veneziano in città dal 1405. Non mancava nell’istituzione un frate del convento con il compito di far sentire anche la voce della comunità francescana nelle scelte che si andavano a operare.

Bisogna riconoscere la grande benemerenza di questa istituzione nel corso dei secoli. Si deve alla Veneranda Arca, oltre alla gestione ordinaria di un grande complesso, l’arricchimento artistico della Basilica lungo i secoli: in ogni periodo si è prodotto un patrimonio di bellezza visibile ancora oggi. Inoltre, è stato importante il suo coinvolgimento nella gestione della grande tradizione musicale che ha caratterizzato la tradizione della Basilica. In anni recenti, è stato eseguito l’inventario dell’Archivio storico della Veneranda Arca: un unicum nella sua ricchezza documentaria, ininterrotta dalla fine del Trecento fino ai nostri giorni, fonte inesauribile per la storia dell’arte padovana e, non di meno, per la storia economica.
Il fatto di essere stata riconosciuta come ente laico, emanazione della città, permise alla Veneranda Arca di sfuggire alle pesanti interferenze delle soppressioni legate al periodo napoleonico e, successivamente, a quello italiano nel corso dell’Ottocento. È per questo che si è salvato il Tesoro della Basilica con i suoi preziosi reliquiari (riscattato, peraltro, con il diretto intervento dei frati ancora presenti), come pure la Biblioteca Antoniana (col suo patrimonio culturale accumulato fin dal XIII secolo).

È vero che in questi periodi ci furono forti tensioni con la comunità francescana, formalmente soppressa ed esclusa da qualsiasi coinvolgimento, se non quello meramente liturgico, ma proprio mentre si andava elaborando un nuovo statuto che regolava i rapporti tra la Veneranda Arca e la comunità francescana, avvenne un radicale cambiamento. Nel 1932, in applicazione al Concordato siglato tra Sede apostolica e Stato italiano nel 1929, il complesso antoniano (Basilica e convento) passava di proprietà allo Stato Città del Vaticano. Una decisione presa direttamente da papa Pio XI, superando ogni discussione. Decisione inappellabile con pesanti conseguenze, perché non si teneva conto della storia che, proprio attraverso l’istituzione dell’Arca, aveva costituito una sintesi identitaria tra città e Basilica. La proprietà è passata quindi alla Città del Vaticano che la gestisce tramite una delegazione pontificia, costituendo formalmente una proprietà di uno Stato straniero in territorio italiano, sottoposto ai vincoli della legislazione italiana (e non un’area extraterritoriale, come spesso sostenuto).

La Veneranda Arca, composta oggi da sette presidenti (cinque nominati dal Comune di Padova, uno dalla Segreteria di Stato vaticana e il rettore della Basilica), è riconosciuta come una fabbriceria privata, con rilevanza pubblica. Essa continua, in un contesto mutato dall’evoluzione dei tempi e da interventi offensivi della storia, a essere parte di una irrinunciabile memoria che dal 1231, anno della morte del pater et patronus sant’Antonio, ha costruito l’identità della città. (Info: www.arcadelsanto.org).

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Data di aggiornamento: 11 Luglio 2023
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