14 Marzo 2025

Insieme fino alla fine

Un’amicizia ritrovata, una malattia che non lascia scampo, e la decisione di vivere quel che resta insieme: sono gli ingredienti dell’ultimo film di Pedro Almodóvar, «La stanza accanto».
Insieme fino alla fine

Due amiche si incontrano dopo molto tempo. Siamo a New York. La scrittrice Ingrid è al vertice del suo successo. Mentre firma le copie del best-seller, che tocca il tema del morire, le giunge notizia che Martha, una reporter internazionale in aree di guerra, è ricoverata per una grave malattia in un vicino ospedale. La va a trovare. Ricordano con affetto i vecchi tempi (sono state innamorate dello stesso uomo) e si scambiano con sincerità i pensieri e i sentimenti attuali. Martha è pallida e smagrita. La malattia è grave e ha una prognosi infausta. Martha, che rivendica il diritto di decidere il tempo e il modo della morte, chiede a Ingrid di starle vicina, di vivere nella stessa casa nel bosco fino al momento estremo. Ingrid accetta…  

La scelta iper-coloristica, tipica di Almodóvar, assume nel film La stanza accanto (vincitore del Leone d’oro alla 81ª Mostra del Cinema di Venezia) il senso di un inno alla vita: l’istante che viene è come una porta di fiaba, una «porta accanto», una «porta dopo», dietro la quale un’amica ti attende, oppure ti ha lasciato una lettera d’addio. Il dono di questa prossimità fedele e delicata prende i colori imprevisti delle piccole cose che ci circondano. Il rosso esplosivo di un fiore, un cesto di frutta dal giallo squillante, un vestito tagliato su un azzurro imprevisto, gli ampi maglioni rosa e viola che Martha alterna a delicate vestaglie di seta, e un rossetto dal timbro vinaccia. Poi ci sono i libri, le fotografie, i diari dalle copertine fiorite, le lettere mai spedite, i divani su cui lasciarsi andare e guardare assieme film di qualità (come La donna che visse due volte, di Alfred Hitchcock). La potenza cromatica della pellicola si prolunga nella figura diafana, esile, anemica, asessuata dell’attrice Tilda Swinton, alta e meditativa, severa e infantile.

Ogni vita ha il suo colore e non la si è mai guardata abbastanza. Ogni biografia ha i suoi motivi musicali, i ritmi, i bagliori, la gioia del lavoro, del sesso, della famiglia e poi anche le nebbie del fraintendimento, della rabbia, della delusione patita o inferta. Le due donne, per proteggere la loro intimità amicale, scelgono di abitare in una nuova casa, arredata con eleganza minimalistica e aperta su un paesaggio silenzioso e ipnotico. Non vogliono essere distratte. Intendono prepararsi all’ultimo passo. La vita decide di noi e noi, in cambio, la pennelliamo col nostro stile, prima che il dolore, la nausea, l’astenia ci obblighino all’immobilità, all’impotenza.

Il film di Almodóvar parla del cinema come scavo morale, gesto etico, che prolunga la nostra esistenza per tutte quelle narrate sullo schermo. Il cinema addestra a prendere una decisione simile alle scelte di montaggio con cui si taglia una sequenza nella forma più felice e degna. L’etica narrativa va a lezione dall’estetica. Il tempo di malattia, che ci espone alla prova di caducità, non ha copioni preconfezionati. Intendiamo condividere la nostra tavolozza di colori con chi ci conosce, non ci mette fretta, vive le nostre paure, aggiunge i segni dei suoi pastelli ai nostri. Viene alla mente il momento in cui il giovane dottor Max Schur incontrò il suo paziente Sigmund Freud. Il padre della psicoanalisi chiese di dirgli sempre la verità. E aggiunse: «Mi prometta ancora una cosa: quando sarà venuto il momento, non mi lasci soffrire inutilmente». Nel 1939, nell’esilio londinese, Freud ricordò a Schur che era tempo di onorare la promessa: «Ormai è solo tormento e non ha più senso». Non fu eutanasia quella di Freud, a nostro avviso. Fu memorabile la forza stoica di un genio del pensiero che seppe lavorare fino agli ultimi giorni e vivere compostamente i propri affetti.

Nel film di Almodóvar, Martha dichiara di amare la vita e di aver imparato proprio durante i suoi servizi giornalistici di guerra come essa sia preziosa e fragile. La malata vuole risparmiarsi la vista del degrado, gli spasmi dell’agonia, cercando, per quanto possibile, di mantenere il controllo su una patologia crudele. L’amica Ingrid, con delicatezza tipicamente femminile, ascolta, comprende e promette di assecondare la giornalista, aiutandola a vivere questo ultimo «diario di guerra». Ingrid sente di dover prendersi cura anche di sé, corpo e psiche, per sostenere il difficile accompagnamento. Il film avrebbe guadagnato in profondità se avesse dato rappresentazione più articolata delle diverse posizioni pro e contro il suicidio razionale assistito, un dibattito che scuote l’opinione pubblica internazionale e pone diverse domande alle scuole di pensiero e alle tradizioni religiose.

Nel libro Suicidio? Un dibattito teologico, scritto nel 2021 per l’editore torinese Claudiana, avevo invitato la teologia cristiana a difendere l’inviolabilità della persona, ripensando il proprio lessico tradizionale e confrontandosi con la grande letteratura contemporanea. Questo film, assieme a Mare dentro di Alejandro Amenabár (2004) e The Sunset Limited di Tommy Lee Jones (2011), rappresenta con sobrietà e leggerezza i vissuti dolenti di chi vede la fine venirgli addosso troppo presto, ricorda le occasioni perdute, si rammarica delle proprie colpe, cerca simboli che resistano alla separazione.

Le due amiche fanno riferimento, nelle loro conversazioni, a Susan Sontag (1933-2004), scrittrice e intellettuale di New York, il cui saggio Malattia come metafora. Il cancro e la sua mitologia (1977) contestava la tendenza ad attribuire un significato etico-psicologico alle patologie, a colpevolizzare il malato e a identificare la terapia come una guerra biomedica contro il male. Il film di Almodóvar costituisce uno sviluppo delle tesi della Sontag. In effetti, il cancro costituisce oggi il paradigma del «negativo» che incombe crudele e ingiustificato sulle nostre vite, parassitando la bellezza del nostro corpo. Il rischio è che si venga espropriati del tempo finale della vita, invece che attraversarlo «in prima persona».

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Data di aggiornamento: 14 Marzo 2025

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