La montagna non dimentica
Uomini che hanno sfidato le cime e le pareti più inaccessibili, toccati dalla paura e dal dubbio, chiamati a fare scelte che decidono della vita o della morte. L’introduzione si apre con l’incontro con Mazeaud, uno dei più grandi alpinisti del secolo scorso, che ha tentato l’assalto alla parete del Pilone centrale del Frêney del Monte Bianco (1961), impresa nella quale si è salvato solo lui con due italiani, tra cui Walter Bonatti. È il racconto della conquista delle cime delle Alpi, che hanno visto vittorie e sconfitte di generazioni di avventurieri: assalti respinti, a volte finiti in tragedia. La narrazione permette di immergersi nelle imprese, ricostruite a partire da dati storici o da biografie degli stessi alpinisti: la montagna, per secoli temuta e rispettata con riverenza, è sfidata per essere conquistata.
Si parte dal Mont Aiguille, scalato dal capitano di re Carlo VIII, Antoine de Ville, nel 1492: una cima che sembrava irraggiungibile, oggetto di leggende su terribili creature presenti in quel luogo. D’altra parte, spesso le montagne portano con sé un fascino tremendo: si fanno ammirare per la loro bellezza, ma sono severe con chi non le rispetta. Scalare pareti impossibili, sfidare la natura e la sua inaccessibilità può sembrare un inutile gioco; infatti il prezzo da pagare, in molti casi, è stato davvero alto: la menomazione, la cecità, finanche la morte. Soprattutto tra il XVIII e il XIX secolo la smania è quella della conquista della cima: memorabili sono le ascese al monte Bianco (1786), al Cervino (1865) e alla Meije (1877). Le stesse sono tuttavia segnate da eventi drammatici, in particolare dal Cervino tornerà vivo solo uno degli alpinisti; peggiore ancora la sorte dei quattro scalatori dell’Eiger nel 1936.
Incastonato tra i racconti c’è anche quello della Dama del Grépon: nella prima conquista della cima, gli scalatori rimangono vivi per miracolo e promettono di installare una statua della Madonna sulla cima del Grépon. La Vergine de La Salette dal 1927 svetta sul piedistallo cementato dagli stessi alpinisti che l’hanno lì collocata, portandola sulle spalle (40 kg) per tutta l’impervia via. Tra arrampicate straordinarie e salvataggi sul filo del rasoio, il testo assume dei tratti quasi epici, pur documentando fatti realmente accaduti.
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