L’amore che vince il male
Da anni suor Claudia lavorava in un’associazione fondata per aiutare le donne che avevano subito violenza. Assieme ad alcune consorelle, infatti, aveva creato nella sua città un piccolo centro di accoglienza per queste ragazze che quotidianamente arrivavano, a volte inviate dagli stessi servizi spesso impotenti davanti al loro dolore senza voce. Per questo suo servizio, la mia scuola aveva deciso di invitare suor Claudia a parlare a tutti gli studenti riuniti in aula magna, inserendo la sua testimonianza tra quella di altri esponenti che, in vario modo, difendevano i diritti dei più fragili. La sua, però, era una voce che svettava sopra le altre, e non certo per il suo tono alto… Il giorno stabilito, suor Claudia arrivò e cominciò a raccontare le varie storie di ragazze e donne abusate che aveva incontrato, le storie di violenza e spesso di manipolazione psicologica che in molti casi avevano avviluppato le loro vite come tele di ragno e i tanti percorsi che, anche col loro aiuto di religiose, queste donne avevano compiuto per risalire la china. I circa trecento ragazzi che l’ascoltavano erano estremamente attenti durante il tempo del suo intervento, e il brusio che fino a poco prima correva nella sala era evidentemente calato.
Arrivato il momento delle domande dopo la relazione di suor Claudia, una delle ragazze della platea alzò la mano e le rivolse questo quesito: «Avrei una cosa da chiederle: lei che cosa farebbe se una di queste ragazze le chiedesse di accompagnarla ad abortire?». La suora la guardò e, per prima cosa, le sorrise. Poi disse: «Mi è già capitato e ho fatto quello che in coscienza ritenevo giusto. Era una ragazza che aveva subito violenza in maniera particolarmente pesante, una sera dopo la discoteca. Era rimasta incinta e non poteva accettare di portare avanti quella gravidanza che non solo scombinava ogni suo precedente progetto di vita, ma che soprattutto le avrebbe impedito, a suo dire, di superare in qualche modo l’accaduto. Non poteva immaginare di doversi occupare, o anche solo di far nascere, un bambino che in qualche modo avrebbe avuto una somiglianza con quell’uomo spaventoso, come lei diceva.
Avevo cercato in ogni modo di convincerla che quella piccola vita era comunque da salvare, e che avrebbe potuto affidare il bambino ad altri dopo la sua nascita, se proprio non se la sentiva di tenerlo. Ma lei piangeva e rifiutava ogni soluzione, anche di questo tipo. Fu allora che dovetti fare una scelta di campo molto impegnativa dentro di me: la mia fede mi portava a difendere quella piccola vita indifesa dentro di lei, ma ugualmente dovevo prendermi cura anche dell’estrema fragilità di quella ragazza che sentivo di non poter abbandonare in nessun modo. Le dissi chiaramente che non condividevo la sua scelta, ma che rispettavo la libertà che nessuno poteva toglierle. Così l’accompagnai in ospedale e le stetti vicino in ogni modo, dato che anche la sua famiglia, molto tradizionalista come valori, l’aveva abbandonata a se stessa. Non ne parlammo più. La cosa ebbe il suo corso e io l’accompagnai anche se, seduta su una sedia, mentre aspettavo che uscisse dalla sala operatoria, soffrii tantissimo per quel bambino che non sarebbe mai nato e pregai tanto per lui e, soprattutto, per lei.
Dopo il fatto, lei sparì. Solo dopo qualche mese, un pomeriggio, si ripresentò e mi disse che doveva parlarmi. Mi rivelò che non riusciva a capire per quale tipo di amore avessi accettato di accompagnarla a fare una cosa che era chiaramente contro la mia coscienza. Aggiunse che lei quell’amore voleva conoscerlo più a fondo e che se il mio Vangelo rendeva le persone così libere di amare a qualunque costo, lei quel Gesù voleva avvicinarlo e, forse, averlo nella sua vita. Mi spiegò che le capitava spesso di pensare a quel bambino che aveva deciso di rifiutare con tanta decisione e si chiedeva se per caso, col mio Gesù nella sua vita, sarebbe stato più facile accettarlo e, ora, cullarlo. Stava capendo con dolore, e con tanto rammarico, che forse aveva fatto un tremendo errore e aveva bisogno di parlarne soprattutto con me, l’unica che le era stata vicina nonostante pensasse che lei stava facendo il più grande sbaglio della sua vita. Mi ricordo che subito non le risposi niente, solo l’abbracciai e le feci una proposta, quella di sederci insieme per un po’ di tempo nella cappellina del centro, dove custodivamo il tabernacolo col Santissimo. Le dissi che poteva raccontare direttamente a Lui quello che sentiva dentro per il suo bambino e tutto lo strazio del prima e del dopo; io, anche in quel momento, le sarei stata accanto come l’altra volta.
Ci sedemmo lì, vicine e povere entrambe, così come eravamo state vicine e povere di fronte alla sua decisione terribile nell’anticamera della clinica dove aveva abortito. Là, in quel momento doloroso, il mio amore per lei aveva dovuto tanto potentemente attingere all’amore che Gesù aveva per me, ma anche alla dolcezza del suo viso di ragazzina adulta, che mi inteneriva immensamente». Suor Claudia finì il suo intervento con candore e, rivolta alla ragazza che le aveva posto la domanda, aggiunse: «Sai, anche se sei in decima fila, riesco a distinguere abbastanza anche il tuo di viso, e noto che hai la sua stessa dolcezza, per cui credo che mi capirai». La ragazza arrossì, non rispose più niente, cercò di parlottare con le sue amiche vicine per camuffare l’imbarazzo… Passò un po’ di tempo e un giorno in classe mi disse: «Sa, prof, la risposta di quella suora mi è rimasta dentro. Devo ammettere che la mia domanda voleva essere provocatoria, però lei mi ha fatto capire che solo un amore che non abbandona mai, nemmeno, o forse soprattutto, quando l’altro sbaglia, è un amore che vale la pena vivere. Ha fatto bene quella ragazza del racconto a tornare: quando uno trova una persona così vera, non deve farsela scappare!».
La classe sembrava per un attimo sospesa, come se aspettasse la parola definitiva da me su qualcosa che non può essere chiuso tanto facilmente. Le risposi con calma: «Grazie Giada, in un certo senso hai chiuso il cerchio. Ci fai capire come le parole e i gesti veramente ispirati dall’amore di Dio possono cambiare i cuori, senza fare tanto rumore. Una volta, in un libro sulla vita di sant’Antonio di Padova, lessi come dei ladroni, curiosi di capire se lui fosse veramente un santo, andarono ad ascoltare una sua predica. Al termine di quell’omelia, però, uno di loro, talmente toccato dalle parole del frate, cambiò vita, smise di rubare e uccidere, diventando un uomo totalmente diverso. Non credo che sant’Antonio, quel giorno, mentre predicava, sapesse quale potenza d’amore si sarebbe scatenata nel cuore di quell’uomo… Lui era stato soltanto se stesso. Anche suor Claudia aveva semplicemente amato quella ragazza con tutta se stessa, sapendo che non poteva condannarla a stare da sola, pur non condividendone la scelta. E questo ha dato un concreto appiglio a quella giovane donna, una straordinaria possibilità di incontrare Dio attraverso l’unica strada che in quel momento vedeva: la credibilità della testimonianza di suor Claudia e il suo amore gratuito e difficile!».
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!