L'epidemia dell'incuria

Le recenti vicende del Pio Albergo Trivulzio accendono i riflettori su un male temibile quanto un'epidemia, un morbo collettivo che ci riguarda tutti da vicino, in quanto cittadini italiani.
28 Aprile 2020 | di

Le vicende del Pio Albergo Trivulzio, «la Baggina», denunciate a Milano da Gad Lerner in un appassionato articolo di giornale, mi hanno riportato indietro nel tempo, a quando visitai più di una volta la Baggina grazie a una carissima amica che la frequentava assiduamente. Alla Baggina sono morti per incuria decine di poveri vecchi, e incuria è la parola che dovremmo aver presente tutti di più, un morbo collettivo che riguarda tutti gli italiani, non solo i funzionari, non solo i politici e gli amministratori di ogni ordine e grado ma, di conseguenza, i loro dipendenti e, infine, tutti i cittadini, gli abitanti della polis. L’incuria è alla lunga temibile quanto un’epidemia e tutti ne siamo più o meno colpevoli, tutti facciamo meno di quanto dovremmo nell’aver cura «di questo giardino che è il nostro», come hanno detto santi e poeti. Per portare armonia nel vivente, tutta l’armonia possibile tra le creature animali e vegetali, a cominciare dagli umani, tra noi umani. 

L’amica che voglio ricordare si chiamava Elena Pirelli, sposata Brambilla. Era figlia del grande industriale della gomma Alberto, sorella di Leopoldo e Giovanni e moglie di un alto dirigente di quell’impresa. Quando morì il padre, Leo­poldo dovette sostituire il fratello maggiore Giovanni che, avendo fatto la guerra in Grecia e la Resistenza in Lombardia e avendo sposato gli ideali del socialismo, aveva da tempo rinunciato alla primogenitura dedicandosi a imprese culturalmente e socialmente rilevanti, e usando al meglio il denaro di cui poteva ancora disporre. Di recente è uscita per Donzelli la bellissima biografia che gli ha dedicato una giovane storica di talento, Mariamargherita Scotti, ricordando tra l’altro che egli raccolse con l’amico Malvezzi le Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana e di quella europea (Einaudi) e che introdusse in Italia l’opera di Frantz Fanon al tempo delle lotte anticolonialiste e che fu l’instancabile difensore dell’indipendenza algerina dal giogo francese. 

Elena, la sua amata sorella, è meno nota di Giovanni perché ha scritto ben poco, ma, cattolica fervente, ha fatto nell’ombra cose importanti ed è stata, per esempio, molto vicina a don Milani. Mite e riservata, era saldissima nelle sue convinzioni e fece un ottimo uso del denaro che aveva (dette una mano anche a me per la rivista «Linea d’ombra», negli anni Ottanta a Milano), occupandosi per esempio attivamente della Baggina, dove insistette per portarmi, pensando giustamente che mi facesse bene vedere da vicino i disastri della vecchiaia, e perché, diceva, c’è meno bisogno di occuparsi dei giovani e perfino dei poveri di quanto non ce ne sia di assistere i più abbandonati tra tutti gli esseri umani, i malati di mente e i vecchi che la vita ha sconfitto. Ho pensato a Elena, in questi giorni, come a un esempio purtroppo diventato rarissimo o del tutto scomparso della parte più pulita della nostra borghesia, quella che fu insieme illuminata e cristiana, e che ci è ancora caro definire «manzoniana».

 

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Data di aggiornamento: 28 Aprile 2020
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