Levi e Orwell in simultanea
Mi ha colpito la presenza simultanea in libreria di due autori che ho molto amato, con due libri affascinanti e, diciamo così, istruttivi, molto istruttivi. Il primo è di Carlo Levi, un’opera giovanile scritta in un provvisorio esilio francese mentre la seconda guerra mondiale stava scoppiando: Paura della libertà. Lo pubblicò Einaudi a guerra finita, dopo il Cristo si è fermato a Eboli e L’orologio, i suoi due capolavori. Il primo fece scoprire a tutti, a fascismo caduto, la «questione meridionale », la civiltà contadina. (Quasi contemporaneamente usciva finalmente in Italia Fontamara di Ignazio Silone, che aveva già avuto un’edizione in lingua italiana a Capolago, nel Canton Ticino, giunta in Italia clandestinamente). L’orologio raccontava, ancora tra esperienza personale e inchiesta e riflessione di tipo saggistico, l’Italia dell’immediato dopoguerra, e culminava raccontando un incontro ufficiale tra De Gasperi e Togliatti che in qualche modo, pur affermando la nascita di una storia repubblicana e democratica, la vedeva consegnata al dominio della politica.
Paura della libertà è stato «riscoperto» dal più noto e bravo dei nostri filosofi, Giorgio Agamben, per le edizioni Neri Pozza. Perché lo considero così importante? Perché riflette su qualcosa che continua a riguardarci molto da vicino, anzi a riguardare l’umanità. Che cos’è «la paura della libertà» se non la paura della libertà personale di scelta, della responsabilità individuale, morale e civile, dentro una società? Questo tema era stato affrontato da un filosofo del Cinquecento, La Boétie, nel suo Discorso sulla servitù volontaria. L’uomo ha paura di sostenere il peso della responsabilità del giudizio e della scelta, e accetta di conseguenza che altri pensino al suo posto, decidano per lui. Come si vede, il discorso è di grande attualità, e questa nostra epoca, nonostante la scolarità diffusa e l’illusione di un individualismo tutto esteriore, ci dimostra che gli individui amano più che mai di essere guidati, accettano un potere che decide cosa noi dobbiamo fare e pensare...
L’altro libro è un’antologia di testi di quelli detti minori di George Orwell, l’autore di 1984 e di La fattoria degli animali, quella favola crudele sulla dittatura comunista, dove «tutti i maiali sono eguali, ma alcuni sono più eguali degli altri»... L’antologia è curata da Vittorio Giacopini, edita da Eleuthera con il titolo (astruso) di Come un pesciolino rosso in una vasca di lucci. È in realtà un atto d’amore, se così possiamo dire, per l’amore che Orwell portava alla vita, e va letta in questa chiave. L’inventore del Grande Fratello (della dittatura diretta o indiretta che agisce sulle coscienze e le asservisce e modifica) non ha mai rinunciato a esaltare le cose semplici della vita, nonostante tutto. La primavera, la natura, gli animali, una buona tazza di tè, la conversazione non superficiale con un amico...
In qualche modo il libro di Levi e quello di Orwell, usciti insieme, andrebbero letti insieme: per metterci in guardia dal rischio, che sempre l’uomo corre, di temere la responsabilità. Per imparare a riconoscere le piccole e le grandi cose per cui vale la pena vivere. E per non divenire schiavi volontari di un potere. Se Paura della libertà ha a che fare con 1984, quest’antologia è un gesto di speranza: si può sopravvivere, e tornare a pensare, a reagire, se si sa apprezzare quanto l’essere al mondo ci permette pur sempre di godere. La vita.