Lo yogurt dell’accoglienza
Il 7 aprile festeggio i miei 30 anni di episcopato. Era infatti il 7 aprile 1994 quando, nella gremita cattedrale di Crotone, l’arcivescovo monsignor Giuseppe Agostino versò sul mio capo il crisma profumatissimo dell’unzione episcopale. E l’unguento prezioso scese, silenziosamente, fino alla mia barba, eco del salmo 132: «Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso..., che scende sulla barba, sulla barba di Aronne». Per l’abbondanza del Crisma, «tutta la cattedrale si riempì del profumo dell’unguento», come la casa di Betania, nel gesto gratuito e sovrabbondante di Maria verso Gesù.
In questi miei lunghi anni di episcopato tanti sono i ricordi. Alcuni vivissimi, come quando un pastore dell’Aspromonte mi fece dono del vello dello stomaco di una sua pecora, con cui viene ruminato il latte, per trasformarlo in enzimi preziosi di vita. Su suo consiglio, ne ho ricavato un batuffoletto di fermenti vivi, capaci di trasformare il latte in ottimo yogurt. Dono veramente prezioso. Li cambio tutti i giorni, li lavo e li depongo in un vaso, al buio, perché possano di nuovo fermentare. Così tutti i giorni gusto questo cibo salutare. Se qualche giorno non posso cambiarli, si fanno scuri, come se mi rivolgessero un sommesso rimprovero, che io estendo alla mia vita di pastore: ho fatto bene la mia preghiera? Sono stato accogliente con i poveri, gentile con tutti, e soprattutto con i preti, come mi raccomandava mia mamma Albina? Quei fermenti sono un dono, ma anche un impegno, perché aumentano sempre più. Crescono come il cuore di chi sa amare, in gratuità e letizia. Allora, quando si fanno consistenti, li dono ad altri - una comunità religiosa o una famiglia -, tra mille raccomandazioni, perché nulla vada perduto. Così i fermenti mi hanno fatto compagnia in tutto questo tempo, aumentando ogni giorno di più la mia gratitudine per il pastore dell’Aspromonte.
Nel leggere la Bibbia vengo a scoprire che proprio Abramo offrì lo yogurt ai suoi ospiti, i tre angeli che, in una calda giornata d’estate, si erano affacciati alla sua tenda, sotto la quercia di Mamre. Non volle che passassero invano davanti a lui. Perciò, corse alla tenda e prese latte fresco e latte acido (Gen 18,8) cioè lo yogurt domestico. Delizia di ospitalità. Magari i nostri immigrati potessero essere accolti con lo stesso yogurt, fatto legame e dialogo. Autentica lezione per oggi, specie dopo il dramma di Cutro (in provincia di Crotone, dove il 23 febbraio 2023 in un naufragio, morirono 94 persone, tra cui 35 bambini. A soccorrerli, la gente del posto). Giunga perciò questo messaggio a certi nostri politici: l’ospitalità si è incarnata in Calabria, a Cutro, ma ancor prima a Riace, un’esperienza, quest’ultima, finalmente riconosciuta, dove il cuore si era aperto, per dare casa e offrire e ricevere lavoro. Quel paesello resterà il segno perenne di un generoso scambio di sguardi, cremoso e dolce come lo yogurt.
Ed è con lo stesso sguardo di dolcezza che vorremmo veder vinta la battaglia, ben condotta dal quotidiano «Avvenire», per lo ius culturae, cioè la cittadinanza italiana riconosciuta ai tantissimi ragazzi e bambini, alunni e studenti delle nostre scuole, che provengono da altre terre ma sono ormai parte della nostra cultura. Sogno per loro lo stesso yogurt cremoso, che Abramo offrì ai suoi inattesi ospiti. La patria allora sarà là dove ci si siede insieme, per uno yogurt cremoso, sotto la quercia di Mamre, per guardarsi negli occhi e scoprire che il cuore, ovunque, ha lo stesso fremito di gioia e di pace, nel profumo condiviso del crisma di benedizione.
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