L’umanesimo del cammino
Dalla primavera scorsa, mi rimane in bocca un persistente sapore buono: quello del trekking attorno al lago di Galilea, di cui vi ho già accennato sulla rivista dello scorso mese di maggio. Da tempo desideravo percorrere la geografia di Gesù, camminare sulle sue orme, negli stessi luoghi; guardare i suoi paesaggi preferiti, rileggere incontri, avvenimenti e discorsi, segni e guarigioni di cui traboccano i Vangeli, ma farlo sui posti dove, con molta probabilità, si sono svolti. Ho potuto sentire che accanto alla storia sacra esiste anche una geografia sacra, dove «le pietre e gli alberi vi insegneranno cose che nessun libro e nessun maestro vi dirà mai» (san Bernardo). Dove «via dalla folla, trovi lingue negli alberi, libri nei ruscelli, prediche nelle pietre, e ovunque il bene» (Shakespeare).
Gesù ha camminato per tre anni: camminare è accarezzare la terra e sentirsi addosso la vita (P. Piacentini). «Si è messo in strada come cercatore, il tesoro di cui va in cerca è l’uomo» (Abbé Pierre). La strada è laica e libera, non ama i recinti del sacro, sembra solo un luogo di passaggio, un intervallo tra due cose importanti, un interstizio tra le pietre della facciata o i massi delle mura, invece il cammino crea un nuovo umanesimo. Scopri che è rivelatore: di te a te, del mondo come tua casa e tua pelle, del volto di Dio, dell’altro come compagno di strada e non come un «competitor». Appare un Dio viandante, che «se tu parti con te viene, con te rientra ora e sempre» (Sal 121), che ti assicura: «Io sono stato con te dovunque sei andato» (2 Sam 7,9), in ogni passo che hai compiuto , in ogni passo che hai perduto.
In Galilea andavamo al ritmo del cuore, adottando uno stile di vita «più dolce, più lento, più profondo» (A. Langer), come il suo. Lo scopo non era quello di arrivare a una delle tante mete battute dal turismo religioso, ma di ascoltare i luoghi e vivere incontri. Il viaggio stesso era la meta. E capivo che la strada è libera e senza fine, ma non senza meta. La meta è il passo successivo, con i suoi bocconi di realtà. La crescente facilità di spostamenti ci ha reso voraci: non contempliamo più, divoriamo le mete turistiche e anche quelle religiose. Siamo dei consumatori di luoghi, e non dei fruitori pacificati del loro incanto, del loro genio unico.
Vangelo alla mano, la prima sorpresa è stata scoprire quanta storia si svolge in quei luoghi, in quel fazzoletto di terra tra il lago e le colline, teatro della più intensa attività di Gesù. Quanti capitoli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni riferiscono storie accadute a Cafarnao o «sull’altra riva»... Un dono stare su quella stessa riva dove, all’alba, Gesù, come una madre, ha preparato una grigliata di pesce per i suoi amici che tornavano stanchi da una notte di pesca senza frutto. Gli occhi correvano tra le acque del lago, gli anemoni rossi, gli iraci furtivi tra le rocce, le nuvole che galoppavano nel vento del Golan, i profili delle colline. Erano gli stessi colori del tempo di Gesù, lo stesso paesaggio, lo stesso odore della terra che si mescola con l’acqua. Gesù è stato in parte formato da quell’ambiente, morbido e potente al tempo stesso; modellato interiormente da quel paesaggio aperto, sereno e verde.
Un regalo che ci fa il cammino è l’attenzione al corpo: la sua forza, la sua stanchezza, la dolcezza dei riposi, i suoi influssi sull’umore e sui pensieri. Non sei tu che usi il corpo, è lui che comanda e detta il passo, e riacquista tutta la sua dignità primigenia. E mentre si risana il rapporto tra corpo e spirito, tra corpo e mondo, senti che l’immenso è dentro la vita e la vita è immensa; che il mondo è una lettera d’amore scritta apposta per te, le cui sillabe sono l’infinità delle creature.
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