Perché non hanno creduto?
«Caro direttore, sono un vecchio abbonato e seguo con piacere la vostra rivista. Ho un dubbio circa il non riconoscere, da parte dei sacerdoti e della classe dirigente di Israele, la venuta di Gesù. Mi spiego: era scritto che sarebbe venuto il Messia e allora perché non hanno creduto in quest’Uomo che faceva prodigi e miracoli? Gesù stesso ha detto: se non volete credere alle mie parole, credete alle opere che io compio. Non capisco questa loro “ignoranza” e testardaggine. Faccio un esempio: se nella comunità francescana che frequento, svolgendo un servizio di volontariato, sapessi che un giorno dovrà venire san Francesco e vedessi un frate che compie miracoli e fa discorsi che toccano il cuore, perché mi dovrei ostinare a dire che questo frate è un impostore?».
Lettera firmata
Il tema che il caro lettore propone è molto interessante e richiede di ripercorrere la vicenda di Gesù, testimoniata dai vangeli, per trarne qualcosa di buono per illuminare anche il nostro rapporto con eventi straordinari come i miracoli. Nella Bibbia si parla del Messia annunciato in Israele e anche dell’attesa di lui da parte del popolo ebraico. C’erano però attese diverse su questo personaggio, a seconda del gruppo di appartenenza: chi credeva sarebbe arrivato un sacerdote, capace di offrire un sacrificio perfetto, in grado di cancellare i peccati del popolo (i sadducei); alcuni ritenevano che il Messia avrebbe insegnato come rispettare perfettamente la Legge di Mosè (i farisei); infine, altri si attendevano un condottiero o un re in grado di liberare Israele dalla dominazione romana (gli zeloti).
Gesù in parte soddisfa queste attese, in parte le delude, e anche per questo viene contestato e nasce opposizione nei suoi confronti. In realtà, la posta in gioco è più alta: Gesù non chiede solo di credere a quello che fa o che dice, ma di credere in lui, di credere che lui è Dio stesso. Nessuno si aspettava che il Messia sarebbe venuto con la pretesa di essere lui stesso Dio, di essere l’unico mediatore della relazione con Dio. Non un uomo straordinario che riceve dei poteri da Dio, ma che rimane comunque solo un uomo; no, nel caso di Gesù, lui e il Padre sono una cosa sola: le opere che compie non sono fatte solamente in nome di Dio, per grazia sua (come nel caso di un santo), ma è Gesù stesso che le compie (ad esempio, perdona i peccati, prerogativa esclusiva di Dio).
Altro elemento: bastano i miracoli e i prodigi per dare credibilità a una persona? Tutto ciò che è straordinario, che è soprannaturale, ci fa pensare a un intervento divino. Qui, però, dovremmo stare attenti, anzitutto perché non tutto ciò che è soprannaturale viene da Dio: oltre allo Spirito di Dio c’è anche lo spirito del male, che talvolta si nasconde sotto apparenze inaspettate. Notiamo che Gesù, nel Vangelo, non si fida di chi crede in lui per i segni che compie: «Molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo» (cfr. Gv 2,23-25).
Anche Gesù non ritiene che i prodigi che compie bastino per costruire una relazione di fiducia con lui: serve qualcos’altro. Troviamo queste parole subito dopo l’episodio della cacciata dei venditori dal Tempio, un gesto simbolico che va ben oltre la condanna del commercio all’interno di un luogo sacro. È proprio con quel gesto che Gesù rende esplicita la sua pretesa di essere l’unico mediatore tra Dio e l’umanità. Provo a chiarire questo punto, di grande importanza: il Tempio era il luogo dove si compivano i sacrifici, aspetto essenziale della religione ebraica; in sostanza, il Tempio fungeva da mediazione tra l’uomo e Dio. Necessari erano gli animali da poter offrire come sacrificio: questo giustificava la presenza di venditori, dato che era sconveniente portare con sé delle bestie da lontano. Con il suo gesto simbolico, Gesù afferma di essere lui il nuovo Tempio: non serve più fare sacrifici con animali, perché Gesù offre se stesso. Per gli israeliti, in particolare per i sadducei, questa pretesa di Gesù è sconvolgente, perché sta dicendo che non serve più la mediazione del Tempio, che l’unico vero mediatore
è Gesù stesso.
Osserviamo, poi, che nel tentare di convincere i suoi interlocutori sulla sua identità, egli non forza mai la relazione, non si impone, ma si appella sempre alla libertà della persona che ha davanti, chiedendo di fidarsi di lui, di credere in lui. Questo aspetto è necessario in tutte le relazioni che viviamo: non si costruisce nulla se non c’è una base di fiducia. Molte persone, nel Vangelo, non riescono a fidarsi di Gesù, spesso perché sono troppo legate alla loro mentalità e al loro modo di vivere. Ad esempio, un motivo di dissenso è il Sabato, giorno consacrato al riposo, in cui però egli opera guarigioni e per questo viene contestato, soprattutto dai farisei. Non dovrebbero credere in lui, dato che fa camminare un paralitico o dona la vista a un cieco dalla nascita? Invece lo ritengono un peccatore, perché non rispetta il riposo sabbatico (cfr. Gv 5,1-16; Gv 9). Oltre a questo subentra anche il calcolo politico e, forse, una certa invidia: se tanti lo seguono, i suoi oppositori rischiano di perdere la loro posizione.
Questi modi di pensare possono magari sembrare distanti da noi, ma, a ben vedere, ci riconosciamo in alcuni degli atteggiamenti descritti. Possiamo assistere a miracoli o prodigi straordinari, ma questi non bastano se non ci apriamo a un cammino di fede, se non rispondiamo in libertà alla richiesta che Gesù anche oggi rivolge a noi: «Seguimi!». Non basta un evento eccezionale che però rimane esterno a noi, che non ci coinvolge pienamente: possiamo anche ammettere l’eccezionalità di una persona, ma questo non ci cambia la vita, rimaniamo col nostro modo di vedere e di vivere di sempre. Il vero miracolo avviene quando lasciamo che i nostri schemi vengano messi in discussione, quando siamo disposti a perdere qualcosa, a decentrarci un po’ dalle nostre posizioni, facendo spazio alla novità del Vangelo.
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