Né intelligente né artificiale
«Atlas of AI», questo è il titolo originale del libro della ricercatrice e studiosa di intelligenza artificiale Kate Crawford: si tratta di una panoramica per comprendere i vari aspetti di questa tecnologia, spesso raccontata come fosse un incantesimo, con capacità aliene. In realtà, l’IA è frutto di un profondo intreccio tra tecnologia, capitale e potere. In primo luogo, essa nasce dall’estrazione: i componenti hardware richiedono molte materie prime, comportando un’impronta ecologica importante e uno sfruttamento lavorativo dei minatori.
In secondo luogo, nei nodi logistici, migliaia di esseri umani svolgono compiti, come in una catena di montaggio, che le macchine non possono compiere: etichettano, correggono, modificano dati per fornire set di addestramento. Terzo aspetto: da dove vengono i dati raccolti? «Tutto ciò che vedete nel mondo reale deve essere nei nostri database», diceva nel 2012 un ingegnere di Google: social media, siti web, sistemi di videosorveglianza ne sono fonti inesauribili. Un passaggio decisivo è la classificazione dei dati, che non è un’operazione neutra, ma inculca un modo di vedere il mondo, basato su una semplificazione che spesso produce discriminazioni: un esempio è il rilevamento delle emozioni dall’espressione facciale.
Infine, un ambito di sviluppo dell’IA è quello delle agenzie di intelligence, che cercano un vantaggio rispetto ai concorrenti; il loro armamentario di sorveglianza viene oggi usato anche dalle agenzie governative per il controllo dell’immigrazione o per la sorveglianza industriale. È necessario sviluppare un atteggiamento critico rispetto a questa tecnologia, «progettata per amplificare e riprodurre le forme di potere che deve ottimizzare»; un primo passo è quello di ripartire da chi ne paga maggiormente le conseguenze.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!