Occhio ai guru dell’IA
Quando ci misuriamo col tema delle «intelligenze artificiali» rischiamo sempre di essere sommersi da una montagna di parole, che nasconde i dati di fatto. Come si fa, invece, a dare concretezza al discorso? Conviene innanzitutto tenere presente che nel settore si investono cifre enormi. Si parla di oltre 100 miliardi di dollari nel solo 2022, destinati peraltro a raddoppiare nel giro di un paio d’anni.
Questa premessa ci aiuta a inquadrare una delle storie più clamorose del 2023. Ha avuto per protagonista Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, l’azienda proprietaria di ChatGPT, il programma di IA che risponde alle nostre domande ormai conosciutissimo in tutto il mondo. A fine novembre, di punto in bianco, Altman è stato licenziato ed estromesso dall’azienda. Ma il colpo di mano è durato lo spazio di un mattino, perché dopo soli tre giorni il manager è stato reinsediato ai vertici aziendali con pieni poteri. Ma che cosa è successo esattamente?
Proprio in virtù di questi concitati eventi si è appreso che di OpenAI in realtà ce n’erano due: una società no profit che formalmente deteneva il comando e un ramo commerciale che invece operava sul mercato, raccogliendo finanziamenti e lanciando prodotti. I no profit accusavano Altman di essere arrogante e troppo precipitoso nel presentare nuove applicazioni, di non valutare bene i rischi legati al futuro della IA. Hanno provato perciò a scalzarlo, ma hanno miseramente fallito perché è subito intervenuta Microsoft, la grande corporation dell’industria tecnologica, che nell’azienda aveva investito 14 miliardi. «La sfida l’hanno vinta i capitalisti, ora l’intelligenza artificiale appartiene a loro» è stato il lapidario commento del «New York Times». Non che prima fosse nelle mani del popolo: è semplicemente caduto un velo, dietro il quale si nasconde però qualcosa che ci riguarda molto da vicino.
E per capire qualcosa di più dobbiamo mettere a fuoco quanto sta accadendo in California, soffermandoci sulle «ideologie» che animano i programmatori imprenditori della Silicon Valley. Le persone di cui stiamo parlando sono tutte ricchissime e potenti, non solo controllano enormi patrimoni ma sono pure convinte che nelle loro mani ci sia l’avvenire dell’umanità. Ed è sull’esercizio di questa «missione» che si dividono in due correnti di pensiero. Da una parte ci sono i sostenitori del cosiddetto «altruismo efficace» che credono che non ci si debba preoccupare di quanto accade oggi ma delle conseguenze che le decisioni avranno domani.
Dall’altra ci sono invece quelli del «tutto e subito», gli «accelerazionisti» (si chiamano proprio così) che pensano che si debba perseguire il progresso tecnologico a ogni costo. I due «partiti» hanno in comune uno sfrenato individualismo e la convinzione che governi e società civile non debbano interferire con le loro decisioni. Che dire? Che un’opinione pubblica informata deve desiderare esattamente l’opposto. Chi sono questi «tecnocrati illuminati» per pretendere di decidere il nostro destino? È una vecchia questione, solo che adesso con i software di ultima generazione la posta in palio è altissima. Dobbiamo parlarne, dobbiamo ribadire che un mondo disegnato da un ristretto manipolo di «tecno feudatari» non è per nulla un mondo più sicuro. Troppe sono le incognite e troppi i diritti in gioco.
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