03 Febbraio 2024

Bentornati a casa!

Riscoprire la terra d’origine, ricostruire l’albero genealogico, rivivere la storia della propria famiglia e le tradizioni del borgo dei nonni e dei bisnonni emigrati all’estero. Per gli oriundi italiani si apre una nuova stagione.
Bentornati a casa!

© Imgorthand / Getty Images

Gli italo-discendenti nel mondo sono circa 80 milioni. Più ancora di una seconda Italia fuori dal Belpaese. Un dato significativo, prima dell’ondata di Covid, è quello del 2018, quando il turismo dei nostri connazionali all’estero in visita in Italia generò un flusso economico di circa 4 miliardi di euro. L’interesse crescente degli oriundi per la ricerca delle proprie radici familiari ha spinto il governo italiano a finanziare con i fondi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) un progetto che coniuga offerta turistica di alloggi, enogastronomia, visite guidate alla conoscenza o alla riscoperta della storia del luogo d’origine dei propri ascendenti, della cultura e delle tradizioni della loro terra, e la possibilità di ricostruire il proprio albero genealogico coinvolgendo esperti e potendo consultare gli archivi digitalizzati delle anagrafi comunali e quelli parrocchiali.

Così è nato il progetto del «Turismo delle radici» che fa capo alla Direzione generale degli Italiani all’estero del Maeci (Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale) sotto la guida del consigliere d’Ambasciata Giovanni Maria De Vita, responsabile di questo progetto che coinvolge tutte le regioni italiane con l’obiettivo di diventare un evento strutturale. La ricaduta diretta, in termini economici e di promozione dei territori, non solo dei grandi centri, va soprattutto a beneficio dei piccoli borghi e delle aree interne dello Stivale. Inoltre vengono valorizzati i musei dell’emigrazione sparsi per l’Italia. Internet e i social media fanno da collante alle informazioni, alla segnalazione di eventi e iniziative, ai pacchetti turistici con particolari scontistiche in grado di facilitare il viaggio in Italia per il maggior numero di italiani all’estero.

Il progetto del «Turismo delle radici» inizia da lontano. La Direzione generale per gli Italiani all’estero del Maeci, vedendo il potenziale di questa proposta, nel 2018 aveva già organizzato con Enit (Agenzia nazionale del turismo) e con le associazioni Raiz italiana e Asmef (Associazione mezzogiorno futuro) un primo tavolo tecnico di coordinamento sul «Turismo delle radici» per dare vita a un network di soggetti pubblici e privati interessati alla realizzazione e alla promozione di un’offerta a livello nazionale. Negli anni successivi, il progetto si è allargato fino ad arrivare al «Turismo delle radici» 2024, sotto l’egida della Farnesina. «Ci auguriamo che dia la possibilità di creare dei percorsi virtuosi per i giovani italiani all’estero, italo-discendenti, che magari tornino a vivere e a lavorare in Italia», auspica Marina Gabrieli, coordinatrice nazionale del «Turismo delle radici» per il Maeci. «Tant’è che tra le offerte ci sono le working holiday: gli italo-discendenti possono soggiornare in Italia per un periodo più lungo di una vacanza “mordi e fuggi”, vivendo nella terra d’origine e conoscendo i luoghi dei loro antenati». Gabrieli stessa ha iniziato a studiare questo fenomeno nel 2010 con una tesi di dottorato, occupandosi della comunità italiana in Argentina. Poi è ritornata in Italia, e con due colleghi, vincendo un bando della Regione Puglia per progetti innovativi, ha fondato l’Associazione Raiz italiana. 

Viaggi e laboratori

La caratteristica principale del «Turismo delle radici» sono gli itinerari tailor made, fatti cioè su misura dei viaggiatori delle radici perché ognuno ha una sua storia familiare, e ogni viaggio è diverso dall’altro. «L’idea – prosegue Gabrieli – è quella di fornire degli spunti per strutturare il proprio viaggio e le attività collaterali. Il progetto prevede dei “laboratori delle radici italiane” nei vari comuni delle diverse regioni, durante i quali i “viaggiatori delle radici” possono fare esperienze che permettono loro di approfondire la conoscenza della cultura d’origine attraverso corsi di lingua e cultura italiana, workshop per apprendere antichi mestieri, ecc. Contemporaneamente si è creata una rete con i comuni e le regioni». 

A raccontare una di queste collaborazioni è Loris Basso, presidente dell’Ente Friuli nel mondo e dell’Aps (Associazione di promozione sociale) Ricorda, Ritorna, Radica FVG, vincitrice del bando Pnrr «Turismo delle radici» per la regione Friuli-Venezia Giulia: «Abbiamo come partner le Università di Udine e di Trieste, le Camere di commercio della regione, l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), e gli enti dei corregionali all’estero: l’Ente Friuli nel mondo, i Giuliani e gli Sloveni», spiega Basso. «Questo ci permette di essere un punto di riferimento per i corregionali sparsi nel mondo. L’Ente Friuli nel mondo rappresenta oltre 150 Fogolârs Furlan in cinque continenti. Di recente sono stato con il presidente del Consiglio regionale, Mauro Bordin, in Australia dove abbiamo incontrato gli 8 Fogolârs Furlan per presentare il progetto del “Turismo delle radici” in collegamento con Cristina Lambiase, coordinatrice del Maeci per il Friuli-Venezia Giulia. Un partner importante dell’iniziativa è l’Associazione genealogica del Friuli-Venezia Giulia. Uno degli obiettivi è quello di permettere ai giovani oriundi friulani di terza e quarta generazione di cercare le origini della loro famiglia, dove si sono sposati i loro nonni o genitori, dove sono stati battezzati. C’è una valorizzazione dei piccoli borghi, soprattutto di montagna, da dove è partito il grosso della nostra migrazione. Le esperienze di working holiday possono essere fatte presso aziende agricole, agriturismi, artigiani locali. Vengono organizzati eventi di richiamo, facendo rivivere in un contesto festoso esperienze come sagre paesane, celebrazioni religiose e quant’altro era stato abbandonato, con un recupero delle tradizioni locali anche da parte degli stessi territori. Le comunità sono chiamate a un’accoglienza che favorisca l’approccio identitario con i corregionali che arrivano dall’estero, e che consolidi gli scambi culturali, economici e sociali già attivi in Friuli». Come per tutti i migranti e i loro discendenti di altre regioni d’Italia, anche i friulani possono effettuare una ricerca genealogica, scoprire da quali paesi sono partiti i loro ascendenti, e ricevere notizie e informazioni su eventi e iniziative.

Il ruolo dei genealogisti

In veste di coordinatore del «Turismo delle radici» per la Campania, Giuseppe Guglielmo ha censito negli ultimi mesi una trentina di appuntamenti culturali e religiosi legati alle tradizioni locali. «A questo va aggiunto anche il lavoro dei genealogisti – sottolinea Guglielmo –, cioè lo studio delle radici dei nostri corregionali all’estero che coinvolge anche i comuni e gli archivi parrocchiali per chi proviene dall’America latina o dal Nord America. Moltissimi comuni hanno risposto all’appello del Maeci al fine di valorizzare le tradizioni e gli eventi locali come, per esempio, le Luminarie di Praiano (Salerno) o la Festa dei Gigli a Nola (Napoli). Ma ci sono anche iniziative legate all’artigianato e all’enogastronomia». Oggi i campani all’estero sono circa 500 mila, sebbene questo sia un dato parziale poiché, storicamente, in particolare nell’Ottocento, Napoli e Genova erano i porti da cui partiva l’emigrazione italiana verso le Americhe. Quindi, cittadini di altre regioni, come la Puglia e la Calabria, passavano da Napoli per imbarcarsi. Altri flussi si sono indirizzati verso Paesi dell’Europa centrale e settentrionale, come Svizzera, Germania e Belgio. «Molti comuni dell’Irpinia sono gemellati con comuni di quei Paesi d’emigrazione – osserva Guglielmo –. E non dimentichiamo i flussi migratori interni dal Sud al Nord dell’Italia, che non si sono mai interrotti». 

Iniziative come il «Turismo delle radici» servono non solo a professionalizzare chi vive nelle aree interne della Campania e di altre regioni, ma a far conoscere queste realtà attraverso il patrimonio immateriale, gli eventi, l’offerta culturale di chiese e musei. «I pacchetti turistici prevedono di coinvolgere non solo Napoli, la costiera amalfitana, le isole, ma anche i luoghi legati alle radici dei corregionali all’estero. Io sono in contatto con l’Associazione degli ischitani nel mondo che ha valorizzato gli emigrati all’estero originari dell’isola di Ischia. Oggi sono affermati professionisti, manager, ecc. ma non dimenticano le loro origini. L’emigrazione non riguarda solo le aree rurali, anche se sono i piccoli borghi ad avere un peso maggiore poiché hanno sofferto di più lo spopolamento». 

Working holiday

Il «Turismo delle radici» ha anche un altro obiettivo, quello di «invogliare i giovani oriundi a venire a vivere e a lavorare stabilmente nelle terre dei loro ascendenti», afferma Guglielmo. «Le working holiday puntano a consentire ai giovani un’immersione nella cultura e nelle tradizioni rurali di un territorio, nelle sue tipicità. Nel settore enogastronomico ci sono aziende importanti che hanno dei brand forti». Perciò è utile valorizzare questo tipo di esperienza lavorativa per consentire il trasferimento nei territori degli oriundi, e quindi di averli non solo come turisti. «Anche qui in Campania c’è una carenza di manodopera in certi settori come quelli della ristorazione e del turismo – afferma Guglielmo –. Il viaggio di ritorno in Italia è un modo per riscoprirsi e anche per trovare nuove opportunità di lavoro». Perciò c’è molta attenzione al «Turismo delle radici» da parte di Confindustria, di Confcommercio e di altre realtà datoriali. Non è però scontato che tutti abbiano le stesse possibilità economiche per venire in Italia.

«Per molte persone, ritornare nella propria terra d’origine è “il viaggio della vita”. Per questo dobbiamo dare loro il massimo – ribadisce Gabrieli –. Ovviamente non è possibile finanziare i viaggi di tutti gli italo-discendenti. Abbiamo potuto strutturare un’offerta valida dando loro, per esempio, la possibilità di essere accolti nei comuni d’origine dei loro ascendenti per la ricerca di documenti. Abbiamo creato una serie di servizi, tra i quali il “Passaporto delle radici italiane”: una sorta di carta fedeltà che consente ai “turisti delle radici” di avere una serie di agevolazioni economiche per il viaggio, l’accoglienza alberghiera, i ristoranti». In questo contesto, il ruolo delle associazioni d’emigrazione è strategico: «Sono i nostri partner nella promozione del “Turismo delle radici” poiché lavorano ogni giorno con amore per la propria terra. Nei racconti degli italo-discendenti c’è sempre il tema del viaggio in Italia visto come un sogno. E il modo in cui lo raccontano segna uno spartiacque nelle loro vite. Per questo bisogna accoglierli bene». 

Sulla stessa linea anche Daniela Vecchiato, direttrice dell’Apt (Azienda di promozione turistica) Alpe Cimbra che comprende i comuni di Folgaria, Lavarone, Luserna e dell’Altopiano della Vigolana, in Trentino, che fin dall’Ottocento è stata area d’emigrazione soprattutto verso il Brasile. Fenomeni migratori si sono registrati anche dopo la Prima guerra mondiale. Per questo «abbiamo in previsione, in tarda primavera, un importante convegno nazionale sul tema del “Turismo delle radici” nella prospettiva di ricreare i legami dei trentini nel mondo con quelli che vivono nella zona della Vigolana e nei nostri comuni».

Ci sono famiglie che tutt’oggi mantengono legami con i discendenti dei loro parenti in America latina. «Per ricreare, anche idealmente, questo reciproco sentimento d’appartenenza, abbiamo dato vita all’iniziativa “Il bosco delle radici” in un’area in cui sono già stati piantumati piccoli abeti, così quando queste persone arrivano, prevalentemente dal Brasile, in particolare dallo Stato di Santa Catarina, possono applicare, in corrispondenza di un abete, una targhetta con il nome della loro famiglia. L’altro asset importante per quanto riguarda il “Turismo delle radici” – prosegue Vecchiato – è il legame con la figura di santa Paolina (Amabile Visintainer, nata a Vigolo Vattaro nel 1865, ndr) che oggi è una delle sante più importanti del Brasile. Stiamo lavorando con i comuni del nostro territorio per creare dei gemellaggi con i loro omologhi nello Stato di Santa Catarina. C’è un flusso costante dal Brasile di chi viene nella Vigolana a trovare i cugini. I legami sono rimasti forti sia in Trentino che oltreoceano. Ma abbiamo avuto fenomeni migratori anche verso l’Austria, prevalentemente nelle miniere o per lavorare nelle ferrovie».

C’è un coinvolgimento attivo anche dell’associazionismo trentino nel mondo. «Da molti anni, nell’ambito della formazione, viene data la possibilità ai figli dei migranti trentini di rientrare dall’estero per seguire corsi di formazione, in particolare all’Istituto agrario di Mezzocorona». Del resto anche in Trentino si sente la mancanza di manodopera qualificata e di altre figure nel settore del turismo, del commercio e dei servizi. «Di recente sono stata in Brasile – aggiunge Vecchiato –. Ci sono ragazzi che vogliono rientrare. Abbiamo già alcune coppie giovani che, grazie anche al loro lavoro da remoto nel settore dell’informatica e del digitale, hanno scelto di tornare a vivere in Trentino, nella terra dei loro ascendenti. L’auspicio è che poi si inseriscano nel sistema produttivo del nostro territorio. Questo dipende molto dal Paese in cui vivono. Nello Stato brasiliano di Santa Catarina c’è un numero consistente di discendenti di migranti delle nostre zone, ma laggiù la situazione economica è in questo momento favorevole. Mentre i rientri potrebbero essere più facili dall’Argentina, viste le sue precarie condizioni economiche».

C’è poi l’effetto indiretto sull’economia trentina e sul suo export. «Qui – conclude Vecchiato – abbiamo una figura stabile di consultore che mette in rete le aziende del Trentino con quelle in Brasile per aumentare l’export delle nostre produzioni. Nel nostro ambito vendiamo il turismo, l’enogastronomia, le eccellenze del territorio, l’italianità che ci contraddistingue, e dunque quest’anno può essere davvero un viatico per un’ulteriore crescita della nostra offerta per portare il Trentino in tutto il mondo».

Un trampolino per la Sicilia

A Gangi (Palermo) come in altri comuni della Sicilia c’è grande entusiasmo per il «Turismo delle radici» grazie anche all’attenzione dimostrata dal vice-presidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani, per questo modello turistico. Riconoscendone le potenzialità, Tajani sta sollecitando i comuni di tutte le regioni d’Italia a coglierne le opportunità. Il sindaco di Gangi, Giuseppe Ferrarello, è convinto che «può essere un volano per l’economia e il turismo poiché le aree interne dell’isola contano tantissimi emigrati, soprattutto nel secondo dopoguerra. Solo Gangi ha 5 mila iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) in un comune che conta 6 mila abitanti. Abbiamo un’Associazione di gangitani all’estero. Tra prima, seconda, terza e quarta generazione ne abbiamo censiti circa 40 mila, soprattutto in Argentina. Alcuni hanno legami affettivi. Molti non hanno più parenti. Sono stato in Argentina, e ho riscontrato che c’è chi ha “visto” Gangi solo attraverso i ricordi dei nonni. Molti discendenti, ancora oggi, tengono nei loro comodini un barattolo con la terra portata dai nonni quando emigrarono, e anche le loro foto».

Gangi è uno dei molti esempi di piccoli paesi che possono rinascere grazie al «Turismo delle radici». «Questo territorio ha una vocazione per l’agricoltura e la zootecnia – precisa Ferrarello –. Noi abbiamo 500 aziende agricole, allevamento di bovini, coltivazione di grano, e l’artigianato. Da quando siamo diventati il “Borgo più bello d’Italia” ci siamo inventati l’iniziativa delle case a 1 euro per incentivare il recupero e la ristrutturazione degli edifici dismessi e incrementare gli insediamenti abitativi. Così qualche gangitano è ritornato, magari non per viverci tutto l’anno, ma almeno per le vacanze». Gli oriundi potrebbero rivelarsi utili se rientrassero definitivamente. «Gangi aveva artigiani, fabbri ferrai e falegnami. Oggi sono rimasti due falegnami. E non vediamo prospettive, così come in tanti altri mestieri dove c’è una notevole richiesta, come nell’edilizia. Queste figure mancano».

Gli fa eco l’assessore al Turismo di Gangi, Stefano Sauro: «Qui in Sicilia abbiamo 58 comuni che hanno aderito al “Turismo delle radici”. I programmi ci sono già: incentivare le feste patronali, implementare i portali internet, creare nuovi canali di comunicazione con gli oriundi. L’entroterra siciliano, in modo particolare, ha conosciuto l’emigrazione, soprattutto verso l’America latina, un’area che in questo momento è in sofferenza economica. Abbiamo percepito che da parte dei nostri oriundi c’è il desiderio concreto di tornare nei luoghi d’origine, ma spesso non riescono a esaudirlo per le difficoltà economiche che sussistono anche solo per intraprendere un viaggio verso l’Italia. Il fatto che questi viaggi possano essere agevolati è un segnale positivo. Mi aspetto che qualcuno torni e decida di rimanere». Anche Gangi ha fatto rete con gli operatori turistici e le strutture alberghiere e di ristorazione per offrire tariffe di favore e pacchetti agevolati. «Poi consideriamo dei percorsi culturali per riscoprire la vita di un tempo – conclude Sauro –. Noi già lo facciamo con gli eventi di “Memoria e tradizione” che riportano alla rievocazione della vita negli anni Trenta del secolo scorso. Un modo per far rivivere la storia dei nonni e dei bisnonni».

Ripopolare i borghi

Il Veneto, una delle regioni con il maggior tasso d’emigrazione nella storia d’Italia, ha messo in campo le proprie risorse umane e organizzative, come ribadisce Walter Brunello presidente dell’Associazione di promozione sociale Radici Venete che ha vinto il bando del Maeci: «I nostri oriundi possono essere interessati a viaggiare nelle terre d’origine dei propri avi per ricongiungersi e magari ripopolare quei borghi e quelle contrade che, nel tempo, si sono spopolate e spesso coincidono con le aree che hanno dato di più all’emigrazione italiana all’estero. Nel caso del Veneto, pensiamo all’Altopiano di Asiago, al bellunese e a certe zone del trevigiano. Il “Turismo delle radici” non si traduce solo in un viaggio legato all’ospitalità, ma coinvolge i comuni e le parrocchie. Grazie ai loro archivi si può ricostruire la genealogia delle famiglie, si possono recuperare gli usi e i costumi locali, molto spesso coltivati e vissuti nei luoghi d’emigrazione secondo la tradizione tramandata dai primi migranti mentre in Italia, al contrario, sono sovente scomparsi o dimenticati. Riportare gli oriundi da noi significa recuperare la nostra stessa storia. Stiamo lavorando con alcuni genealogisti per organizzare un grande convegno sul tema degli archivi nazionali ed ecclesiastici. Quando i “turisti delle radici” arrivano in Italia devono pur sapere da dove provenivano i loro bisnonni e trisnonni».

Un altro obiettivo è fare in modo che ogni anno, presso il sistema produttivo e commerciale del Veneto, ci siano giovani oriundi che sperimentano la vita nella terra dei loro avi, e che coloro che vivono in Italia, a loro volta, vadano a visitare i luoghi in cui sono emigrati i loro avi. «Molti veneti che partirono per il Brasile – rammenta Brunello –, finirono per sostituire gli schiavi. Oggi, invece, esportiamo “cervelli”. I primi veneti si sono spesso scollegati con la loro patria, madre e matrigna, e non sono più tornati. Spero che quelli che se ne vanno oggi abbiano la volontà di rientrare riportando ciò che hanno imparato all’estero». L’interesse per il «Turismo delle radici» è in crescita. «Negli ultimi anni, sia in Italia che all’estero si sono resi conto di questa tipologia di turismo – riconosce Marina Gabrieli, coordinatrice nazionale del progetto per il Maeci –. Così sono aumentati anche gli investimenti da parte di associazioni di categoria, singoli imprenditori, studiosi ed esperti di comunicazione». E questo fa ben sperare per il ritorno di una parte dei nostri migranti in Italia dopo una diaspora durata due secoli.

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Data di aggiornamento: 05 Febbraio 2024

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