Non si educa mortificando
Avevo una zia. La mitica zia Pina. La maestra. Nata nel lontano 1899, aveva praticato giusto nel periodo del fascismo. Non aveva figli, apparteneva infatti a quel pezzo di storia italiana delle maestre che non si sposavano e che trasformavano la loro professione in una vera e propria vocazione permanente. Negli anni ’70 aveva abbondantemente finito l’insegnamento e quando la andavo a trovare le chiedevo: «Zia, ma come facevi a tenere a bada 40 scalmanati?». Senza scomporsi, mi rispondeva: «Con lo sguardo. Li guardavo in un modo che non potevano reagire. Sapevo come fare». Conservo nella memoria lo sguardo di mia zia Pina, qualcosa che ormai appartiene alla notte dei tempi, abituati come siamo alla mamma amica, al papà peluche, all’insegnante istrionico… una situazione educativa in cui l’essere alla pari è diventato quasi un obbligo e dove l’autorità si è persa nella nebbia.
All’improvviso, dal Ministero annunciano il ritorno del voto in condotta, istituito nel 1924 in pieno regime dal ministro Giovanni Gentile, quello della scuola piramidale, che prevedeva nientemeno che la bocciatura sotto l’8 in condotta, a prescindere dagli altri voti. Nel tempo il dispositivo è stato attenuato, ma la base rimane la stessa: con il 5 finisci bocciato e «condannato» a ripetere l’anno. Ti sei comportato male e quindi resti lì a scuola. Il Ministero vuole inasprire il meccanismo estendendolo anche alle secondarie di primo grado, le cosiddette medie, mentre oggi riguarda solo le secondarie di secondo grado, ovvero le superiori. Fortunatamente, alla primaria il voto in condotta non esiste, in quanto dal 2020 sono stati ripristinati i giudizi narrativi: in via di prima acquisizione, base, intermedio e avanzato. Da pedagogista devo dire che di tutto sentivamo il bisogno meno che del ritorno del dibattito sul voto in condotta. La scuola merita ben altra attenzione: più formazione pedagogica agli insegnanti; stipendi più decenti, decorosi e allineati al resto d’Europa; un orario di lavoro che non consideri solo quello definito «di aula» se non addirittura «di lezione».
La misura della bocciatura per cattiva condotta appare davvero paradossale. Se l’alunno si comporta male a scuola deve subire una pena e questa pena consiste nel restare a scuola un anno in più. A quel punto non serve un master in pedagogia per capire che la scuola non è più tale, ma un luogo di espiazione. Difficile che questo ragazzo impari qualcosa, più facile che se ne resti lì con un rancore terribile e una rabbia altrettanto significativa. Dal punto di vista psicologico ed emotivo, solo il successo motiva la persona a dare il meglio di sé, a superare i propri limiti e a farcela. La scuola che pretende di educare con la mortificazione non solo sembra uscita da un museo archeologico, ma risulta assolutamente inefficace. Ben raro incontrare bocciati per condotta che hanno poi avuto nel resto della vita una carriera scolastica encomiabile. Cerchiamo di essere sempre positivi con le nuove generazioni, di offrire loro esperienze che ne valorizzino i talenti e le risorse piuttosto che volerli schiacciare nelle loro colpe.
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