Pagine per sperare
Il Giubileo 2025, come sappiamo, ha come tema «Pellegrini di speranza». Durante quest’anno abbiamo deciso di raccogliere alcune pagine sotto il titolo «Tracce di speranza», con le quali vogliamo metterci in cammino sulle strade, appunto, della speranza. È l’invito che papa Francesco ha presentato soprattutto con la Bolla di indizione del Giubileo, Spes non confundit, il cui inizio riprende proprio la famosa frase della Lettera ai Romani: «La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che ci è stato dato» (Rm 5,5). Di fronte a tante situazioni drammatiche e preoccupanti, spesso ci viene da chiedere: dov’è finita la speranza? Ha senso ancora sperare? E c’è il rischio che subentrino l’angoscia e la disperazione. Penso che questa sia una tra le situazioni peggiori in cui possiamo capitare; infatti, quando le cose vanno male, la speranza è capace di riaccendere una luce per iniziare un cammino, anche per fare solo il primo passo. Ma se non c’è più speranza… le tenebre sembrano aver vinto.
«Nonna» pazienza
Il messaggio che ci viene dal Vangelo è anzitutto una parola di speranza! Proprio perché Dio sa che il più grande pericolo è la disperazione che ci rinchiude in noi e ci fa precipitare nel buio. Spesso, nella Bibbia, la speranza pare folle, una speranza contro ogni speranza; ma trova il suo senso nel Dio-con-noi, che ama e non abbandona. Tante volte, però, questo ci sfugge, non lo cogliamo, ci pare lontano: la condizione in cui ci troviamo è di fatica, difficoltà, sia all’esterno che all’interno di noi. Ci viene in aiuto una virtù imparentata con la speranza di cui il Papa parla nella Bolla: la pazienza. Potremmo quasi dire che è «nonna» della speranza, rifacendoci al passo di Paolo che precede il versetto sopra citato: «[...] la tribolazione produce la pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza» (Rm 5,4). «Figlia» della virtù provata, la speranza è «nipote» della pazienza.
Al di là dei giochi di parole, abbiamo davvero bisogno di recuperare la pazienza: in un mondo che corre di fretta, che vuole tutto subito, stiamo perdendo il tempo e il ritmo della vita. Come possiamo pensare di costruire relazioni autentiche con gli altri, con l’ambiente che ci circonda, con noi stessi, se sempre dobbiamo correre dietro all’efficienza, alla produttività, a uno sviluppo innaturale? La vita, per crescere e maturare, ha bisogno di tempo; le relazioni hanno bisogno di spazio e di tempo.
Tuttavia, pazienza non significa solo attesa: è vicina al termine «patire», che ci fa tornare alla «tribolazione» di cui diceva san Paolo. Star dentro a situazioni complesse e faticose diventa occasione per imparare a vivere: anche lo stesso Gesù «imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8). Pazienza non è mera sopportazione, ma è scelta di un modo di stare nella realtà, guardandola non come ostile, ma come possibilità che si apre davanti a noi, anche quando le cose non vanno bene. Questo atteggiamento ci permette di intravedere la speranza che fa capolino, che promette vita, anche lì dove sembra non essercene.
Perdono fa rima con speranza
La speranza non è una promessa deludente specialmente se leggiamo le Sacre Scritture, che invitano a riconoscere nel Signore e nell’opera della sua Provvidenza e Benevolenza il segno che parla di un Dio che ci vuole con sé, che non è geloso dei suoi beni, ma li vuole condividere, fino a dare tutto se stesso per il bene nostro.
Ci sono, poi, tanti segni di speranza disseminati nella storia dell’umanità, nelle vicende di ogni periodo. Pensiamo, ad esempio, al tempo di Francesco d’Assisi: un’epoca complicata, in cui molti erano alla ricerca di una religiosità autentica, contraddetta nella vita da tanti altri, anche all’interno della gerarchia ecclesiastica, accusata di vivere negli agi, lontana dagli ultimi. Anni in cui si sviluppano movimenti spirituali, come i catari, che condannano tutto ciò che è materiale, in nome di una purezza di fede che non si contamina con le realtà terrene. Il giovane Francesco, ispirato dal Signore, percorre una via nuova, o meglio, percorre nuovamente la via del Vangelo: la misericordia di Dio lo tocca al punto di farsi prossimo agli ultimi, agli emarginati della società, e a diventare lui stesso minore, cioè ultimo.
È il percorso che ha fatto anche il Figlio di Dio nell’Incarnazione: da ricco che era, uguale a Dio, si fa piccolo e povero, come noi, per risollevare dal basso la nostra condizione (cfr. 2Cor 8,9). Così, la speranza è portata agli ultimi, a chi è più in basso: non con un atto di forza o di magia, ma partendo dalla condivisione della situazione umana, dal farsi presente e vicino. L’esperienza della misericordia e dell’amore di Dio tocca a tal punto Francesco da volerla per tutti e per sempre: in questo senso chiede a papa Onorio, nel 1216, l’indulgenza plenaria per chi avesse visitato la Porziuncola, chiesetta a lui tanto cara e luogo di speciale grazia, nei primi due giorni di agosto. E insiste affinché non sia né legata a un obolo né limitata nel tempo: ecco un altro segno di speranza, che vuol manifestare la bontà misericordiosa di Dio, il perdono a tutti rivolto. Sembrerebbe una grazia a buon mercato, ma in realtà l’ostacolo più grande è proprio la nostra accoglienza: la misericordia e, ancor di più, la speranza hanno bisogno di essere accolte per aver spazio nella nostra vita.
Le pagine di quest’anno
Nella bolla di indizione del Giubileo, il Papa ha invitato a riconoscere i segni di speranza, soprattutto nel presente; è un percorso che abbiamo deciso di seguire anche noi con le pagine «Tracce di speranza» che proponiamo quest’anno. Andremo a riprendere proprio i «segni di speranza» e gli «appelli alla speranza» proposti in Spes non confundit (nn. 8-17), cercando di «porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza» (cfr. n. 7). Sono realtà umane che ci interpellano perché fragili, insidiate e preoccupanti, ma allo stesso tempo sono capaci di sorprendere generando nuova speranza: l’impegno per la pace, la cura delle relazioni per generare vita, i detenuti, gli ammalati, i giovani, i migranti, gli anziani, i poveri, la Terra come bene per tutti, l’Ecumenismo.
Vogliamo incontrare queste situazioni nelle nostre pagine con l’aiuto di due autori, ciascuno secondo la propria sensibilità. Il primo è Luciano Manicardi, monaco della comunità di Bose: biblista attento alle questioni antropologiche, ci aiuterà a far emergere lo spessore esistenziale e spirituale di questi segni. Il secondo è uno scrittore, Paolo Malaguti, al quale abbiamo chiesto di riprendere il tema mensile e di tradurlo in forma narrativa: un racconto sulla speranza, legato al segno in questione. Perché un racconto è spesso capace di dischiudere significati e aprire prospettive ulteriori rispetto a una riflessione più sistematica: è la forza della poesia e dell’immaginazione, che, se ben usate, sono preziose per arricchire la nostra visione del mondo. Ci auguriamo che questo percorso possa essere suggestivo e accompagnare i nostri lettori nel cammino giubilare di questo anno speciale.
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