Quella parola tanto temuta
«Se (l’uomo) avesse osservato la parola del Signore: “Mangia pure i frutti di ogni albero del giardino, ma non mangiare quello dell’albero della conoscenza del bene e del male” (Gen 2,16-17), non sarebbe morto in eterno», dice sant’Antonio.
Sedotti dalla vita e schiaffeggiati dalla morte. Il mese di novembre ce lo rammenta. Vi ricordate la nera signora che gioca a scacchi, nel film di Ingmar Bergman Il settimo sigillo dove il crociato Antonius Block, rientrato in patria, cerca con questo stratagemma di fermare la falce dell’inquietante silhouette che continua ostinatamente a incalzarlo anche dopo il suo ritorno dalla Terra Santa? Ovviamente, alla lunga, la partita sarà appannaggio dell’inseguitrice, non si discute.
In Francesco e Antonio si parla della morte come di un transito, e non di una resa dalla sconfitta, con tutta la loro vita tesa a contrastare non la prima morte, naturale, ma la seconda, quella cioè che sancisce la scelta e l’ostinazione di una vita lontana dal giusto, dal bello, dal buono, con la quale si fallisce ogni mossa sulla scacchiera. Antonio dice che la morte morde perché l’uomo ha voluto mordere il frutto velenoso del male. E aggiunge che il mondo, «dopo aver coperto l’uomo con la sua vanità, lo scopre nella miseria della morte; il mondo non dà, ma solo impresta, e nel momento del massimo bisogno, esige ciò che ha imprestato e così abbandona l’uomo nella miseria e nella nudità» (Sermoni, Epifania del Signore, I-3). Idea del prestito che riguarda tutto: necessaria una sobrietà in tutte le direzioni. La vita come un ponte, sul quale è assurdo costruire case. «Stolto è quindi il consiglio di quei sapienti che esortano ad accumulare le cose altrui, i beni di questo mondo, che non potranno portare con sé, che inducono a caricarsi di cose imprestate, che non potranno far passare con sé attraverso il passaggio stretto. Infatti il passaggio della morte è così stretto, che a stento vi può passare l’anima sola e nuda.
Quando si arriva a quel passaggio ogni carico di cose temporali dev’essere lasciato: solo i peccati, che non sono sostanza (materiale), vi passano agevolmente insieme con l’anima» (Sermoni, Epifania del Signore, I-3). La vita è per Antonio come un’imbarcazione, in cui l’uomo è seduto a governarla tra le due estremità che si assottigliano, poppa e prua, che somigliano a nascita e morte. Per cui dice: «Uno non può governare rettamente la sua nave, se non ha l’accortezza di insediarsi nella parte finale della nave stessa. La nave, che è stretta dove incomincia e dove finisce, cioè alle due estremità, ed è larga al centro, raffigura la vita dell’uomo, che è molto stretta al suo inizio e alla sua fine perché misera e amara, ed è larga al suo centro perché volubile e piena di pericoli. Nessuno può dirigerla rettamente se non si sforza di umiliarsi nel pensiero della morte». E «chi si umilia nel pensiero della morte, regola al meglio la sua vita, e si guarda intorno: sa scuotersi dalla pigrizia, resistere nella fatica, nelle avversità confidare nella misericordia del Signore e guidare rettamente la sua vita al porto della vita eterna» (Sermone morale, Cattedra di san Pietro, V-10).
«Come l’ancora trattiene la barca perché non affondi tra gli scogli, così il pensiero della morte trattiene la nostra vita perché non precipiti nei peccati». «Colui che salì sulla barca della croce, e risuscitò come uomo nuovo nel terzo giorno: a lui sia onore e gloria nei secoli eterni. Amen». (Domenica XIX dopo Pentecoste, I-6).
«La prima condizione dell’uomo fu il poter non morire; per causa del peccato gli fu inflitta la pena di non poter non morire: seconda condizione; lo attende, nella futura felicità, la terza condizione: non poter più morire. Allora usufruiremo in modo perfetto del libero arbitrio, che al primo uomo fu dato in modo che “potesse non peccare”; sarà appunto perfetto quando questo libero arbitrio sarà tale da “non poter peccare”». (Sermoni, Circoncisione del Signore, I-5).
«L’ora della tentazione simboleggia il momento della morte, nel quale il diavolo mette in opera tutti i mezzi per tentare l’uomo e pervertire i suoi sentimenti, perché è in quel momento che lo conquista o lo perde definitivamente; e in quel momento lo tenta soprattutto per fargli perdere la fede e indurlo alla disperazione, perché non creda o non riceva i sacramenti della chiesa, e non speri più nella misericordia divina». (Sermoni, Natività di san Giovanni Battista, II-5).
Giocare a scacchi con la morte, cioè toglierle un po’ del suo potere, in fondo non è una cattiva idea, se questo vuol dire impegnarsi a guardarla in faccia non per quello che pretenderebbe di essere, cioè il nostro fallimento ultimo e definitivo, ma per quello che è veramente: una porta che si apre su un panorama mozzafiato. E la partita è nostra!