Quell’estate del 1985…
Siamo nell’estate del 1985, sulle spiagge francesi della Normandia. Alexis Robin (Alex), studente 16enne, proveniente da una famiglia di modeste condizioni economiche, vive tranquillo le sue vacanze. Si sta orientando verso studi letterari. È un tipo allegro, dal volto pulito e lo sguardo curioso. Alexis fa una nuova amicizia. Si tratta dell’esuberante ragazzo ebreo David Gorman, un poco più grande di lui, che lavora in un elegante negozio di sua proprietà, vendendo articoli per pescatori. I due stringono un rapporto che supera la semplice confidenza amicale. I corpi carezzati dal vento, le confidenze erotiche, la ricerca adolescenziale di un’ambigua identità sessuale, il gusto di esplorare contatti proibiti fanno il resto. Alexis si prende una cotta per il seducente David. Con lui trascorre lunghe giornate di sole e bagni. I due si scambiano promesse grottesche («Ballerai sulla mia tomba, quando sarò morto» propone David), condividono letture colte e visioni cinematografiche. Ma la relazione non può durare a causa del forsennato ritmo vitale di David, che spinge la moto a rischiose accelerazioni, pratica una sessualità promiscua e si concede a una sregolata vita notturna. David è intrinsecamente inquieto: «Mi annoi! Tu, proprio tu!» grida in faccia al compagno Alex. La febbre d’amore che aveva stordito i due giovani urta contro la feroce evidenza della loro diversità caratteriale. Il desiderio si mostra inappagabile, i sensi trasgrediscono la fedeltà, la separazione esplode dolorosa e inevitabile.
La struttura narrativa del film Estate ’85 (Francia, Belgio 2020) è imperniata su Alexis, che fa da personaggio e da voce narrante, introducendo i capitoli essenziali di un’eccitante, rivelativa ma crudele esperienza sentimentale. Gli «avanti e indietro» del racconto diretto da François Ozon sono legati da un’angosciosa ricerca di giustizia: «Di chi è stata la colpa?» si chiede Alexis. Quale malinconia si nascondeva dietro le condotte esuberanti, maniacali, eccitate, frenetiche di David? Quale attesa legittima è stata veramente frustrata? E quale sogno immaturo, invece, è stato denudato e frustrato dal ruvido, prosaico ritmo della vita ordinaria? L’autoanalisi di Alex è sostenuta dall’intelligente lavoro dell’assistente sociale giudiziaria e dal geniale consiglio dell’insegnante di lettere, che conosce entrambi i ragazzi. «Prova a scrivere» suggerisce il professore. A volte scrivendo si capiscono meglio le cose, le si guarda da un punto di vista più distaccato, più vero.
Il film parla non solo di un’attrazione omosessuale imprevista e veemente e non solo dei lutti che segnano la vita. Ma allude anche al senso della pratica cinematografica e, in particolare, all’autobiografia del regista. Ozon, nato a Parigi nel 1967, è dichiaratamente gay e ha dedicato una speciale attenzione a persone e storie LGBT (acronimo per indicare la comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender, ndr), spesso rielaborandole con ironia e creatività disincantata. Ozon indaga sui fattori, più o meno razionalmente spiegabili, della propria condizione umana e artistica, per comprendere i desideri che lo muovono e le speranze politiche che lo attraggono nel realizzare film splendidi come Sotto la sabbia o Il tempo che resta o Il rifugio (la sua «trilogia del lutto»). La sceneggiatura rimanda all’enigma della morte, verso cui ogni adolescente è particolarmente sensibile, in quanto il suo ciclo vitale gli chiede di nascere una seconda volta, di abbandonare i panni caldi dei luoghi comuni socio-familiari e di spingersi al largo, a costo di rischiare l’affondamento.
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