Il diavolo, probabilmente
Ci sono molti film importanti e spesso magnifici o conturbanti sul piano della riflessione filosofico-religiosa, ma ci sono anche registi la cui intera opera è scavo e ricerca del senso della vita, sforzo di penetrazione – o di interrogazione – sul mistero dell’esistenza, e sull’eterno conflitto, sugli eterni dubbi che riguardano il Bene e il Male, registi i cui film hanno una grandissima tensione filosofica, ma sono sorretti allo stesso tempo da una straordinaria capacità di narrare, di dar corpo a idee e concetti grazie a storie e a personaggi. Alcuni di questi registi hanno esplorato, incarnandoli in personaggi e vicende comprensibili, vicini e vicine a noi anche nella loro essenzialità, i temi fondamentali dell’umana ricerca, di una inquietudine che possiamo ben dire religiosa. Penso a Dreyer e a Bergman, a Buñuel e a Bresson – un danese e uno svedese, uno spagnolo e un francese; due grandi artisti di formazione protestante e due di formazione cattolica –. E a questi nomi vanno senz’altro aggiunti quelli di due italiani che, anche se solo occasionalmente, hanno affrontato il sacro, si sono interrogati sul senso dell’esistenza: Pasolini e, prima di lui, Rossellini, su cui torneremo parlando di almeno tre suoi film straordinari, quello sui fioretti di san Francesco, Germania anno zero ed Europa ‘51, tra le opere più significative della storia del cinema.
Robert Bresson fu influenzato in modo determinante dalla lettura dei romanzi e dei saggi di Bernanos e di Dostoevskij, che hanno spesso ispirato le sue narrazioni, e dalle idee religiose dei giansenisti. La conversa di Belfort (1943, titolo originale Gli angeli del peccato, ambientato in un convento femminile che accoglie una prostituta in fuga, con lo sconcerto che ne segue tra le monache); Il diario di un curato di campagna, in cui un giovane sacerdote scopre un mondo maligno e crudele ma ciò nonostante muore dicendo che «tutto è Grazia»; Un condannato a morte è fuggito, storia vera di un’evasione da un carcere nazista che il regista conclude con una citazione esemplare, che «il vento soffia dove vuole»; fino ai film su Giovanna d’Arco, e su Lancillotto e Ginevra, personaggi mitici, o al dittico crudele sulla provincia contadina, con la storia di Mouchette, una adolescente che deve confrontarsi con la cattiveria umana, e con la storia di Au hasard Balthazar che osa dare dignità alla sofferenza di un asino, paragonando il suo calvario a quello cristiano, e a Così bella, così dolce dal breve capolavoro di Dostoevskij La mite... E a L’argent dal breve capolavoro di Tolstoj La moneta falsa, ma che si ferma alla sua prima parte, quella dei danni provocati da una cambiale falsa nel suo passaggio di mano in mano, ignorando la seconda, in cui il percorso inverso, a partire ora non da un moto di avidità ma da un atto di pietà, ci si propone come un’altra possibilità, in definitiva quella del bene, della carità, della generosità, del sacrificio.
Sul finire dei suoi anni, Bresson (è morto nel 1999, alla fine di un secolo di cui ha visto tutte le brutture) ci sembrò non credere più nella forza del Bene, e convinto invece della forza del Male: nel mondo, ha detto nel suo ultimo film, a vincere è il male. In una scena di un film (del 1977) che tutti dovremmo vedere e rivedere, un piccolo gruppo di persone ragiona in un tram sugli orrori piccoli e grandi che ci accadono intorno e cerca una spiegazione, e uno di loro dice (è questo il titolo del film): Il diavolo, probabilmente. Come dire che il Male è più forte del Bene. Il film racconta di un giovane adolescente angosciato dal futuro, in una convinzione pre-ecologista della violenza che gli uomini esercitano sulla natura. In un finale terribile dà tutti i suoi soldi a un giovane affamato di droga per farsi uccidere, non avendo la forza di farlo da solo. Il regista forse più attento al «discorso religioso» di tutta l’intera storia del cinema, ha concluso la sua carriera con questo film e con L’argent, indicando le due presenze del male nella storia di tutti: la violenza sulla natura e la forza corruttrice del denaro. C’è da tremarne.
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