Riflessioni sahariane
Oggi, nella nostra società, è tutto programmato. I giorni, le ore, i minuti, ma anche i secondi sono diventati idoli da rispettare. Andare verso l’Africa significa sognare un contatto diretto con la natura e le persone che la abitano. Senza far cadere lo sguardo sulle lancette dell’orologio. Da queste parti non esistono cronometri, è il sole che regola e scandisce il tempo. In Africa la natura è dominante. Sono sconfinate le savane, grandi sono i fiumi, innumerevoli gli animali. Smisurato, quindi, il senso di subalternità che porta a godere nel totale abbandono di ogni certezza e riferimento abituale. All’imbrunire, quando la natura si placa e il vento che ha accompagnato tutta la giornata cessa, la calura si mitiga e tutto sembra assumere una forma diversa. Il creato si distende, ovunque regna una grande pace. È come se gli uomini e gli elementi volessero riconciliarsi dopo la grande battaglia del giorno.
Nessun impegno assilla nessuno. Nessun rumore disturba il pensiero. Ci si sazia così nel deserto. In silenzio. Mentre nel cielo si accendono le stelle. Pochi spettacoli della natura hanno la purezza di un mare di dune sotto un cielo stellato. La sabbia ha un sapore arcaico. È ciò che resta della storia passata. In questo scenario primordiale siamo puntini invisibili nell’universo. Non ci sentiamo responsabili di nessuno. In noi coltiviamo solo una semplice gioia. Al mattino, quando il buio della notte sbiadisce e all’orizzonte si riaccende il sole, dedichiamo un’ultima parola alle stelle. Le vorremmo ancora vicine, come il deserto ce le aveva donate.
Molti viaggiatori partono per l’Africa perché intuiscono queste sensazioni, e tornano perché non riescono più a farne a meno. Il Mal d’Africa li stimola e li porta a cercare nuove inimitabili situazioni emotive. Centinaia, a volte migliaia di chilometri in solitudine, per entusiasmarsi in un incontro apparentemente insignificante. Nel silenzio, nell’assenza di tutto. In quest’Africa planetaria, nell’impenetrabilità delle sue abitudini. Nel calore della sua gente.
Ci sono cose che desideriamo, pur ignorandone il motivo profondo. Cerchiamo emozioni, contatti con l’uomo, intimità con la natura. Qualcuno li chiama sogni, altri incubi. È il gioco della vita, quella che gioca a nascondino e scherza col tempo che passa. In alcuni casi le ambizioni possono sembrare allucinazioni, ma ci sbagliamo. Sono suggerimenti che arrivano da dentro, non bisogna assecondarli. C’è bisogno di voce per le fantasie, il mondo non va avanti senza energia. Serve nettare vitale per l’umanità.
In Africa i sogni prendono spazio nelle favole più belle. Questo continente ha il potere di trasformare le persone, di farle diventare un’altra cosa. L’Africa è una terra che appartiene a ognuno di noi, è dentro ogni essere umano. Quando la osservi, quando la calpesti, quando la abbracci, quando le stringi la mano, vieni invaso dalla sensazione di conoscere questi luoghi da sempre. Di esserci già stato. Il paesaggio è lunare, sconfinato, quasi crudele, il limite della nostra vista si perde ad un passo dall’orizzonte. È un limite fisico, impossibile andare oltre. Dove cielo e terra si toccano nasce l’inquietudine, quella che noi viaggiatori moderni abbiamo dentro. E ci fa ribollire. Vogliamo andare oltre l’ignoto alla ricerca di nuove frontiere, di nuovi spazi. Vogliamo bucare il muro dell’invisibile. I sogni, le speranze, la voglia di cambiare il mondo non potranno mai essere rinchiusi in un cassetto. Fermarsi in una casa sarebbe la morte dei nostri ideali.
La notte è amica, la notte tradisce. La notte è buia se non ci sono le stelle. Si sobbalza sulla stuoia in un bagno di sudore. Ci si risveglia da un incubo, guardando il nulla di un foglio bianco. Le stelle non ci hanno abbandonato, su ogni pagina hanno disegnato tanti puntini. Si riprova a chiudere gli occhi, con fatica. Si cade in un sonno profondo, e si ricomincia a sognare. Per dare un senso alla vita.
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