29 Gennaio 2021

Ripartire dal dolore

La sofferenza di una madre che ha perso la figlia. Il bisogno di reinventarsi, aiutando i malati terminali. Il coraggio di sorridere nonostante tutto. È il film di Rodolfo Bisatti «Al Dio ignoto».
Ripartire dal dolore

© Yuki Flavia Bagnardi

Una madre toglie dal forno una bella torta, la decora con candeline accese, la rimira con un sorriso. E poi? Poi prepara una fossa in cui seppellirla. La ricopre di terriccio, carezza l’erba e piange. Perché? Perché è il giorno della memoria, il giorno di Anna, la figlia perduta per leucemia sette anni prima. Nel giardinetto di quella casa c’è un luogo sacro, dove si possono custodire le lacrime come un dolce casalingo fatto con amore, dove si può onorare il ricordo, regalare una torta al regno dei morti, superare la soglia del dolore, provare a rinascere.

La mamma del film Al Dio ignoto (Italia 2019, regia di Rodolfo Bisatti) è Lucia, un’infermiera single (separata dal marito, figlio adolescente in rabbiosa crisi d’identità), la quale sceglie di ricrear­si professionalmente andando a lavorare in un hospice, in cui può aver cura di pazienti terminali, giovani e anziani, solitari o socievoli, estroversi o inquieti. In realtà, questa alleanza terapeutica è bidirezionale: chi dà riceve; chi chiede dona; chi invoca aiuto promette e sostiene con coraggio. Lucia sorride. Lucia entra empaticamente in altre esistenze, prende distanza dalle preoccupazioni banali, impara a ricevere una carezza, mentre attraversa l’angoscia della separazione. 

Trasformazioni etiche

La società che circonda questa famiglia spezzata capisce e non capisce, coccola e fraintende, comprende ma dimentica. In una bella sequenza, Lucia è a tavola con amici e riempie un calice di vino rosso, finché il liquido trabocca e lascia una bava sanguigna sulla tovaglia. Lucia continua a versare. Gli ospiti sono imbarazzati e ipnotizzati. Lucia li ha sfidati: il mio dolore non può essere contenuto in una coppa di vetro; il mio amore ha il diritto di traboccare dove vuole, poiché vale più di un lenzuolo lindo e piegato, più della buona etichetta, più delle bugie pietose.

L’hospice è un luogo di trasformazioni etiche. Nella splendida villa-residence viene ricoverato un anziano professore di filosofia morale, Giulio, ben interpretato da Paolo Bonacelli. Con lui Lucia intesse conversazioni felici e sagge. L’ospite rifiuta le cure oncologiche, che gli sembrano sproporzionate e incerte per combattere un tumore ormai diffuso. «Forse non volevi curarti» insinua Lucia. «Certo che lo desideravo – risponde il malato –, ma a volte il desiderio di guarigione può disintegrare la vita». Cioè la cosa più importante non è prolungare a ogni costo la vita, ma promuovere tutta la vita cui si può dare maggior senso umano, lasciare che la bellezza residua dei giorni venga espressa nella libertà di una passeggiata, nella grazia di giocare a scacchi, nella solidarietà con chi ci è caro.    

Il titolo della pellicola viene dal noto versetto 17,22 degli Atti degli Apostoli, in cui san Paolo, davanti all’Areopago, si rivolge ai cittadini ateniesi: «… Vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo». Ma quando Paolo accenna alla risurrezione dai morti, alcuni lo deridono, altri lo snobbano. 

Al Dio ignoto è anche il titolo di una splendida poesia di Nietzsche, il filosofo della morte di Dio, il pensatore che scrisse pagine corrosive contro il cristianesimo. «Ancora una volta… levo le mie mani verso di te… io sono suo… e sento i lacci che nella lotta mi piegano… voglio conoscere te, che mi penetri l’anima… e servirti».

Il regista ha quindi accostato due profezie, una religiosa e una laica, per interrogare le ragioni della speranza, le ragioni nascoste e a volte innominabili che tengono in vita chi sa di essere sotto uno scacco mortale. Quel Dio, che pensiamo di conoscere e utilizzare come un tappabuchi per le nostre mancanze o come un idolo al nostro servizio, è sempre altrove, ci imbarazza e sorprende, ci tiene a distanza e poi elargisce unilateralmente segni di prossimità.

 

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Data di aggiornamento: 29 Gennaio 2021
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