A Roma non ci sono le montagne

Tutti (o quasi) sanno che cosa è successo alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944: l’eccidio di 335 italiani innocenti, da parte delle truppe naziste che dal settembre 1943 occupavano Roma. Pochi sanno, invece, che cosa è realmente accaduto in Via Rasella, sempre a Roma, il giorno prima, cioè il 23 marzo del 1944. O, meglio, lo sanno per sommi capi: lo scoppio di un ordigno esplosivo che, provocando la morte di 33 soldati delle truppe di occupazione, di fatto scatenò la folle reazione nazista.
E proprio all’attentato di Via Rasella è dedicato l’ultimo romanzo della giornalista e scrittrice Ritanna Armeni, che ricostruisce magistralmente la vicenda storica che vide uno dei Gap romani (i Gruppi di azione patriottica, piccoli nuclei partigiani che si ispiravano alle gesta della Resistenza francese) realizzare l’attentato nella via del centro di Roma. Un romanzo densissimo e che cattura con il ritmo di un noir, benché racconti, nella sostanza, una storia vera. Ma, oltre all’indubbio pregio stilistico (la veloce scrittura giornalistica dell’autrice scorre fluida e avvincente), il libro ha il grandissimo merito di riaprire una pagina di storia sulla quale troppo spesso sono gravate delle ombre: quell’azione fu proprio necessaria, visto che le truppe alleate erano alle porte di Roma (la capitale venne liberata il 4 giugno)? Ma davvero i nazisti non avrebbero compiuto nessuna rappresaglia sugli innocenti, se gli autori dell’attentato si fossero costituiti?
È qui che emerge la capacità della cronista di ricostruire, tra i dialoghi romanzati, gli eventi reali, lasciando semplicemente parlare i fatti, gli archivi, andando a vedere con i propri occhi i luoghi e ascoltando con le proprie orecchie la voce degli eredi. E si scopre così che erano stati «gli angloamericani stessi ad aver chiesto ai partigiani di intensificare le azioni, colpendo il più possibile». O che la voce sulla mancata resa dei gappisti per risparmiare la vita delle vittime delle Ardeatine, era «stata messa in giro ad arte dal federale di Roma Giuseppe Pizzirani», mentre in realtà la notizia dell’eccidio venne data dai nazisti a cose fatte.
Eppure le ombre hanno gravato sui gappisti, nella quasi totalità studenti universitari, per tutta la vita, attraversando pure «persone insospettabili come Norberto Bobbio», al punto che nel libro ci si chiede come mai nemmeno nel momento della sepoltura di due di essi, Rosario Bentivegna e Carla Capponi, Roma sia stata «capace di trovare un posto che ricordi una donna e un uomo che tanta parte hanno avuto nella Storia della sua liberazione», costringendo di fatto la figlia a disperderne le ceneri nel Tevere. Forse, queste pagine così oneste e così belle potranno rendere a loro e ai tanti impegnati nella Resistenza al nazifascismo, seppure in minima parte, un po’ di giustizia.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!