Rosario, preghiera di chi ama
Ottobre è il mese di Maria. E anche maggio. Due mesi dell’anno sono in diverso modo dedicati a lei nella tradizione cristiana. Gli storici ci raccontano che, per quanto riguarda ottobre, questo culto è legato alle grandi vittorie della cristianità contro gli eserciti dell’Islam: 11 ottobre 732 Battaglia di Poitiers, 7 ottobre 1571 Battaglia di Lepanto. Eppure, sempre gli storici ci dicono che Maria è apparsa nel 1212 a san Domenico di Guzmán, affranto per l’eresia catara, e gli ha offerto, per la guerra ai catari, un’arma alquanto speciale, allora e anche ora, cioè il rosario.
È sorprendente ai nostri occhi come la figura di Maria possa allora essere stata saldamente associata alla concreta, sanguinosa, cruenta battaglia contro gli eretici. Nel Vangelo Maria parla pochissimo. Una prima volta per esprimere all’Angelo annunciatore una meravigliosa libera obiezione (se non fosse libera, tutto sarebbe sacra finzione e non vera salvezza): «Com’è possibile? Non conosco uomo». Poi, sempre a lui per il sì: «Eccomi, sono la serva del Signore». Poi c’è il Magnificat, così immenso che lo recitiamo tutte le sere come preghiera di lode e affido. E poi ancora durante le nozze di Cana, quando ai servi che non hanno più vino da servire dice: «Fate quello che dirà». Parole di pace, di gioia, assoluta capacità di rovesciare la logica guerresca dell’attesa di un Messia guerresco che riscattasse l’onore di Dio e la terra del popolo ebraico con le armi.
Il primo miracolo è stato un miracolo di gioia non di vittoria. Ce n’è voluto di tempo per capire che le armi del cristiano non sono quelle sciagurate di questo mondo; ma ora ormai lo sappiamo, e molto bene e non c’è scusa, davvero non c’è scusa se non capiamo. Ma perché proprio il rosario? È una preghiera, d’accordo, ma ripetitiva. Preghiera in forma di litania, come il bellissimo Salmo 135: «Eterna è la sua misericordia». Il suo amore dura per sempre, quanto ci è prezioso ripeterlo. La ripetitività è una caratteristica di tante preghiere di tutto il mondo. Che sono semplici, accessibili, popolari.
Il ritmo regolare richiama (a volte accompagna) il passo che sale i gradini del santuario, o percorre il cammino. Passo dopo passo entrare nella nostra interiorità come si entra in processione nel santuario, luogo di rottura della continuità dello spazio profano, luogo di Dio. La ripetitività è propria del rituale amoroso. Da quello infantile, quando il bambino la sera pretende le stesse parole, gli stessi gesti rassicuranti e contenitivi capaci di mettere argine alla paura così che diventa possibile abbandonarsi al sonno, a quello adulto, di coppia, quando le stesse parole e gli stessi gesti ripetuti infinite volte vengono resi nuovi dalla intensità della relazione.
Anche la preghiera litanica del rosario può essere strumento di accesso alla nostra intimità spirituale, a quel punto di verità che è in noi in cui possiamo riconoscere il nostro valore e il valore di un incontro con Dio, grazie a Maria che lo ha accolto. I nostri santuari sono insieme luoghi di lei, nati dalla fede in un’apparizione o da un voto solennemente fatto per un pericolo poi scampato. Sant’Antonio in un sermone dice che Maria è «luogo della nostra santificazione». Il luogo accoglie e in effetti Maria la troviamo ovunque nei santuari, raffigurata con il mantello allargato ad accogliere uomini e donne in cerca di pace. La ripetitività del rito non è il fine ovviamente, altrimenti sarebbe regressione, non ci si ferma lì. È strumento, possibile strumento per raccogliersi nel nostro luogo di incontro con il Signore e fare nuova la nostra relazione con lui.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!