San Giovanni XXIII «uno dei nostri»
(Per onorare la memoria di san Giovanni XXIII in questo giorno a lui dedicato, riproponiamo l’articolo uscito sul «Messaggero di sant’Antonio» di novembre 2009).
Tra i santi c’è sintonia, comunione addirittura, secondo quanto recitiamo nel Credo. Non stupisce allora scoprire che tra Giovanni XXIII e Antonio di Padova sia sorta nel tempo una lunga e fedele amicizia, le cui tracce sono individuabili in tutta la vita terrena di Angelo Giuseppe Roncalli. Un’amicizia che ha radici profonde: infatti il futuro Pontefice – secondo una consuetudine del seminario di Bergamo, che tuttavia era conforme al suo sentire – era appena quattordicenne quando divenne terziario francescano.
Nel 1959, in visita al romitorio di Bellagra, rivelò addirittura che, da adolescente, aveva pensato di farsi frate. «Ma poi – continua la confidenza – un soffio di un vento più forte mi indicò un’altra via» . Non frate quindi, ma forse ugualmente il più grande francescano del ventesimo secolo, come lo definì lo scrittore Luigi Santucci, per la sua capacità di interpretare con la vita la massima di san Francesco pax et bonum. Questo motto fu molto caro a Giovanni XXIII, come testimoniò nel luglio del 1958, da Patriarca di Venezia, ai frati minori conventuali, ospite nella loro casa di Rio di Pusteria: «Sulla porta di questo alto e pio rifugio leggo le parole del motto francescano: pax et bonum. (…) Oh! Le parole incisive di san Gregorio Nazianzeno, come mi piace ripeterle: Voluntas Dei pax nostra. Come mi piace intrecciarle al motto francescano che aggiunge alla pax nostra, il bonum, che indica il successo felice del vivere nostro!».
Anche sant’Antonio compare presto negli scritti di Roncalli. Nel Giornale dell’anima, il diario intimo di tutta la sua vita, è invocato come modello di continenza. All’età di sedici anni il giovane bergamasco, infatti, si ripropone di far «digiunare specialmente gli occhi, detti (…) da sant’Antonio di Padova ladri dell’anima».
Col Santo in Turchia
Il sodalizio col Santo si consolidò dopo l’ordinazione sacerdotale, e a maggior ragione nel periodo in cui il sacerdote di Sotto il Monte, divenuto vescovo, fu nominato delegato apostolico prima in Bulgaria (1925) e quindi in Turchia, nel 1934. Nel cuore di Istanbul infatti sorge una chiesa dedicata ad Antonio, con annesso convento dove vive una fraternità di frati minori conventuali. Nel 1932 fu proprio monsignor Roncalli a celebrare l’elevazione di questo tempio antoniano a Basilica minore, che frequentò assiduamente durante tutto il periodo trascorso in Turchia, condividendo i momenti di gioia – come quando, predicando, annunciò «in diretta» l’elezione di Pio XII nel marzo del 1939 – e quelli di dolore, come il funerale del fondatore di quella Basilica, padre Giuseppe Caneve. Elogiando la vita dell’anziano frate, Roncalli delineò anche quale fosse il suo ideale di amore per il Santo: «Del Taumaturgo di Padova egli era sicuramente un entusiasta devotissimo. Ma lo vidi egualmente inteso a contenere le manifestazioni del culto popolare (…), evitando che, per ignoranza e superstizione, l’accessorio passasse al posto del principale, e il culto del servitore soppiantasse quello del Signore, corona di tutti i Santi».
Un cenno a parte merita il voto che il futuro Pontefice fece a sant’Antonio il 13 giugno del 1940, affinché Istanbul venisse preservata dalla guerra mondiale. Rivolgendosi a Gesù, così pregava Angelo Roncalli: «E poiché oggi è la festa del vostro inclito servo Antonio di Padova, (…) permettete che noi affidiamo alle sue mani benedette la nostra supplicazione collettiva e solenne, ben sicuri che egli aggiungerà la sua voce di intercessore alla umile voce nostra».
Se la grazia fosse stata ottenuta, si prometteva una grande offerta di pane per i poveri e il dono di una statua al Santo, come poi accadde al termine della guerra. Pochi giorni dopo il voto, Roncalli, scrivendo all’amico guardiano della comunità dei frati, padre Giorgio Montico, gli svelerà che il trattato commerciale turco-germanico, «il segno più sicuro che qui non ci sarà guerra, fu firmato nel pomeriggio di sant’Antonio, con la data però del 12 perché – ciò mi risulta da informazione sicura – i firmatari Turchi mostrarono paura del 13, e pregarono l’altra parte di essere compiacente anche in questo. Poche ore dopo Parigi capitolava. Due avvenimenti non previsti da me quando pensavo di ricorrere a sant’Antonio. (…) Auguriamoci che il Taumaturgo di Padova ci si conservi buon patrono e difensore. Noi gli saremo devoti fedeli».
La devozione del santo Roncalli non era solo pubblica, ma anche molto intima, come testimonia un’altra lettera all’amico francescano: «Giusto stamattina levai una preghiera speciale al Taumaturgo per una di quelle grazie per cui si accendono le candelette innanzi alla sua immagine. Ed ecco che nel pomeriggio la grazia incominciò a capitare. Continuerò a pregare perché venga la grazia completa. Me ne tengo del resto sicuro».
Patriarca a Venezia
Il legame di stima e affetto con padre Montico (già direttore del «Messaggero» dal 1931 al 1937) proseguì negli anni: i due si incontrarono nuovamente quando, nel 1953, il neo cardinale fu trasferito da Parigi a ricoprire la sede di Venezia, e padre Giorgio Montico venne eletto ministro provinciale della Provincia patavina. Il Patriarca in quegli anni visitò la Basilica almeno sedici volte, come anch’egli ricorderà, da Papa, nella lettera scritta per il settimo centenario della traslazione delle reliquie del francescano: «Ci sentimmo sempre attratti verso questo Santo grandissimo da un sentimento singolare di pietà, dietro la cui spinta ci recammo spesso al suo tempio augusto, pieni di riverenza».
Memorabile fu in particolare l’aprile del 1958: il giorno 9 il cardinal Roncalli inaugurò il Collegio teologico sant’Antonio Dottore; il 16 a Rivoltella sul Garda (BS) fu la volta del Collegio serafico di sant’Antonio, seminario minore delle province lombarde; infine, il 27 presenziò alla conclusione del tredicesimo anno accademico dello Studio teologico per laici del Santo. All’inaugurazione del Collegio teologico disse: «Una raffigurazione artistica fra le più note di sant’Antonio di Padova ce lo rappresenta recante tre simboli: il giglio, il libro e la fiamma. (…) Il giglio della purezza virginale, (…) che raffigura la generazione dei casti, che crea la generazione dei forti. Libro di sapienza celeste e umana. Antico e Nuovo Testamento. (…) Infine la fiamma viva di carità cattolica ed apostolica. Che mistero! Che mistero, questo francescanesimo di derivazione schietta e pura. Francesco d’Assisi, tutto serafico ardore. (…) Antonio di Padova, arca dei due Testamenti: tromba apocalittica annunziante gli altissimi veri, chiarore di luce, di grazie e di vittoria per il trionfo di Cristo nei secoli eterni».
Terminate le diverse celebrazioni, Roncalli spesso si intratteneva con padre Montico. Ricorda padre Antonino Poppi: «Io in quegli anni ero giovane frate in formazione, e mi è capitato più volte, passando per i chiostri del Santo, di vedere i due anziani compagni camminare e ridere tra loro, amabilmente». La mite piacevolezza di quello che diventerà il «Papa buono» la sperimentarono di lì a poco anche altri giovani frati a Rio di Pusteria, nella casa per ferie dell’Ordine conventuale.
Racconta padre Liberale Isidoro Gatti: «Il cardinale possedeva la dote naturale di far sentire tutti a proprio agio. Parlava bene di tutti, pronto a guardare con serenità i difetti altrui, se avesse dovuto accennarvi. Era discreto e confidente, e scoprii in lui il dono di farsi capire da tutti». Ricordando quei momenti sul «Messaggero di sant’Antonio » (nel novembre del 1958), padre Vergilio Gamboso scriveva: «Dire che ci voleva bene è poco: era uno dei nostri».
Giovanni XXIII e il «Messaggero»
Le amorevoli premure riservate ad Antonio e ai suoi successori continuarono anche quando Angelo Roncalli divenne Papa. E infatti già nel 1959 Giovanni XXIII concesse un’udienza privata ai responsabili della Provincia e all’allora direttore del «Messaggero di sant’Antonio», padre Guido Masnovo.
Altra occasione importante fu il già ricordato centenario della traslazione delle reliquie, nell’aprile del 1963. Ma di certo per la famiglia antoniana e per il «Messaggero di sant’Antonio» il ricordo più coinvolgente è quello del 3 giugno 1962: 20 mila devoti del Santo provenienti da tutt’Italia «in preparazione al Concilio Ecumenico Vaticano II per presentare a sua santità Giovanni XXIII l’omaggio della preghiera, della fede e dell’amore» convennero a Roma, ricevuti in udienza speciale dal Papa in San Pietro. Così li esortava il Pontefice: «Questo lo spirito con cui dovete vivere la vostra devozione a sant’Antonio, nell’imitazione dei suoi esempi di dottore e di missionario del Vangelo. Potrete sempre compiere l’apostolato della preghiera accessibile a tutti ed insostituibile nella economia della grazia. Potrete sempre compiere l’apostolato dell’esempio, in un mondo che non si perita di dare cattivi esempi, ma ne vuole di buoni, e di assai buoni, da chi fa aperta professione di cristianesimo. Fatelo senza timore, con buona grazia, per diffondere efficacemente il calore delle vostre convinzioni, la serenità della vostra fede».
Giusto un anno più tardi, dopo aver realizzato lui per primo l’«apostolato dell’esempio» a cui invitava anche i lettori del «Messaggero», Giovanni XXIII lasciò questo mondo per entrare in pienezza in quella comunione dei santi cui sempre aveva anelato.
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