Sapore di speranza
L’ultimo mese di un anno difficile. La pandemia che non si riesce a debellare, la guerra in Ucraina con le sue conseguenze umanitarie ed economiche, la povertà che cresce, la natalità che cala. È sempre più difficile sperare. Eppure senza speranza si può forse sopravvivere, ma non certo vivere. Tenendo presente che la speranza non è ottimismo, non è il pensiero un po’ ingenuo che «andrà tutto bene» ma la fiducia che valga comunque la pena impegnarsi, a prescindere da come andranno a finire le cose. Perché gli esiti non sono mai nelle nostre mani!
È questo il paradosso della vita umana, quando non si lascia spegnere dalla rassegnazione: la riuscita non è mai sotto il nostro controllo, eppure non si può fare a meno di tentare piccoli passi nuovi, lasciando andare abitudini che non ci fanno felici e al massimo ci rassicurano un po’, per rispondere, insieme, alle sfide che questo tempo ci pone. Perché non si può sperare da soli, non si può essere felici da soli, non ci si salva da soli. Non sarà nei regali o nei pasti la nostra felicità, ma nel sapore che sapremo gustare cercando di portare il nostro contributo a questo momento difficile rompendo una solitudine, alleviando un dolore, condividendo quel che abbiamo con chi ha meno.
Come scriveva don Mazzolari «la gioia è fatta di niente», perciò «Così entra nel mondo la gioia, attraverso un bambino che non ha niente». L’augurio è che il nostro cuore si apra, si scaldi e possa scaldare chi ci è vicino, con le belle parole di Clemente Rebora: «Gesù Signore, dàmmi il tuo Natale / di fuoco interno nell’umano gelo, / tutta una pena in celestiale pace / che fa salva la gente e innamorata».
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