A scuola senza smartphone. E a casa?
Bambini e bambine, ragazzi e ragazze stanno finalmente a scuola senza smartphone, perfino durante l’intervallo. Una scelta che sostengo da sempre e che permette di vivere la scuola con la necessaria concentrazione, senza distrazioni, garantendo alla comunità scolastica uno spazio educativo in una giusta condizione di realtà fuori dagli eccessi virtuali che negli ultimi anni hanno influenzato gravemente le nuove generazioni. Una scelta coraggiosa da parte del ministro e del ministero.
Però mi è sorto un dubbio. La questione «smartphone sì, smartphone no a scuola» è da sempre una patata bollente, in grado di rovinare i Collegi docenti e turbare la serenità dei presidi. Da un lato c’erano i fautori della libertà totale, dall’altro chi richiamava la scuola alla sua missione educativa. Con le nuove Linee guida, il ministro ha tolto le castagne dal fuoco: indicazioni chiare e semplici che, guarda caso, funzionano. Insegnanti e dirigenti hanno tirato un sospiro di sollievo.
Ma fuori da scuola che cosa succede? Tutto è come prima, se non peggio. Privati del telefono per diverse ore, ragazzi e ragazze vivono una sorta di «crisi d’astinenza» e, rientrati a casa, si scatenano nell’uso smodato del loro «totem tecnologico» davanti a genitori sempre più impotenti. La scuola ha fatto ordine al suo interno, lasciando però le famiglie da sole a gestire il problema. Com’è possibile che nel contesto scolastico abbia prevalso il buon senso, mentre in quello familiare tutto resta immutato? Ancora una volta i genitori si trovano con il cerino in mano.
Un anno fa, con Alberto Pellai, lanciai la petizione «Stop smartphone e social sotto i 14 e i 16 anni: ogni tecnologia ha il suo giusto tempo». Abbiamo incontrato politici, partecipato a una seduta della Commissione infanzia del Parlamento, organizzato incontri su incontri. La Regione Marche ha aderito all’appello. Ma dopo un anno nulla è cambiato: nessuna regolamentazione, nessuna indicazione normativa. I minori continuano a utilizzare lo smartphone tra le mura domestiche senza limiti e protezioni. E mentre alcol e tabacco sono proibiti fino ai 18 anni, lo smartphone resta un campo libero: uso smodato dei social, accesso incontrollato di YouTube, esposizione a contenuti pornografici o diseducativi che agganciano selvaggiamente il cervello dei più giovani. Tutto questo in un contesto familiare privo di strumenti normativi. Perché gli insegnanti vengono tutelati e i genitori lasciati soli, indifesi e impotenti, di fronte a un marketing sempre più aggressivo e a ragazzi che, già dai 12 anni, diventano esigenti, arroganti e tirannici sull’uso di questi dispositivi? Genitori che, peraltro, da anni si dichiarano più fragili dei figli adolescenti. Non basta sostenere solo gli insegnanti. Occorrono normative chiare che permettano anche alle famiglie di non sentirsi sole, ma parte di una comunità educante che sta davvero dalla loro parte.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!