Sogni di seta
Ricostruire l’antica filiera della seta calabrese è la sfida entusiasmante di Miriam Pugliese, una giovane imprenditrice, originaria di San Floro, in provincia di Catanzaro. Miriam è la co-fondatrice di Nido di Seta, un’impresa artigianale di bachicoltura, che conduce insieme al marito, Domenico Vivino, e a un’amica d’infanzia, Giovanna Bagnato: tre ragazzi con gli stessi ideali, legati profondamente alla propria terra e desiderosi di tramandare alle nuove generazioni le antiche usanze, ascoltate dalla voce dei nonni e chiuse nel cassetto dei ricordi più cari.
Prima di iniziare quest’avventura, Miriam ha vissuto lontana dalla Calabria, completando gli studi in lingue straniere a Varese, dove ha lavorato anche come hostess di volo. In seguito a un improvviso licenziamento per riduzione di organico, si è trasferita a Berlino alla ricerca di un impiego più stabile. Le sono bastati soltanto alcuni mesi di lontananza per far accendere la lampadina delle idee, utile a concretizzare un sogno per tanto tempo rimasto in sospeso.
«Paradossalmente, è stata proprio la Germania ad accendere in me un faro, poiché, vivendo nella capitale più all’avanguardia d’Europa, mi sono resa conto dell’intraprendenza di un popolo che non teme di investire sulla valorizzazione di zone turistiche e naturali – spiega Miriam –. Così a Berlino ho iniziato a vedere la mia terra d’origine con occhi diversi. Sono tornata in Calabria con l’idea di creare qualcosa di nuovo. Mio padre diceva che qui non c’è niente, ma proprio dove non c’è niente vuol dire che c’è tutto da fare».
Nello scrigno delle tradizioni
Cinquecento anime, per lo più anziani, sono gli unici residenti di San Floro. Sono loro a mantenere in vita la tranquillità secolare del borgo, decidendo di rimanere distanti dalla frenesia della modernità. Dopo l’esperienza metropolitana, Miriam ha però deciso di ridare vita alla sua città natale, introducendo un po’ di innovazione nel solco delle antiche usanze. Così, ha preso in gestione cinque ettari di terra comunale su cui sorgeva un gelseto abbandonato e un vecchio museo della seta.
«Io, Domenico e Giovanna volevamo lasciare qualcosa di utile alle future generazioni – continua Miriam –. Proprio San Floro è stata la capitale della seta dal Trecento al Settecento, ma oggi le attività artigianali sono tutte scomparse, spesso perché sottovalutate proprio dai giovani rimasti». Al contrario, la bachicoltura calabrese è sempre stata considerata un’arte sostenibile a conduzione familiare. Per riportarla in vita occorreva innanzitutto un gelseto. Quello di Miriam è infatti un progetto di agricoltura multifunzionale e biologica, che prevede l’allevamento dei bachi e la coltivazione dei gelsi, ma è anche un modo per riqualificare il territorio e l’artigianato locale.
«Dopo ventotto giorni dalla nascita, il baco effettua la “salita al bosco”, ovvero fiuta i gelsi, fermandosi su una struttura da noi progettata dove inizia a tessere il bozzolo. Noi seguiamo tutto il ciclo di produzione, trasformando poi il filo del bozzolo in manufatto e aprendo le porte anche al turismo rurale». Pazienza e passione hanno permesso di ottenere così una fibra di ottima qualità che ha inaspettatamente attirato l’attenzione dell’industria del lusso, come la divisione Equilibrium della maison Gucci, già da tempo impegnata contro i cambiamenti climatici. «Si tratta di una filiera di allevamento che consentirà a Gucci di produrre le sue prime sciarpe con fili provenienti da pratiche agricole biologiche, promuovendo la produzione rigenerativa della seta e riportando in vita la filiera abbandonata», conferma Miriam.
Rispetto per la terra
Alla naturale operosità dei piccoli bachi che tessono i fili color latte si aggiunge anche la piantumazione degli alberi di gelso, fonte primaria di nutrimento per questi insetti: una situazione che ha già migliorato la chimica del sottosuolo, aumentando la capacità di immagazzinare carbonio dall’atmosfera. «All’inizio i nostri concittadini erano scettici e noi, a nostra volta, non eravamo esperti di bachicoltura. Domenico da piccolo aveva allevato bachi con il padre, a uso familiare, perché fino a poco tempo fa le persone producevano seta soltanto per se stesse, per esempio per l’abito del matrimonio. Nido di Seta rappresenta una storia d’amore nei confronti di questa terra», sottolinea.
Ma per l’organizzazione di un’impresa artigianale non bastano i sogni. Così, per imparare i trucchi della tradizione serica, Miriam ha inizialmente coinvolto gli anziani del luogo, acquisendo le antiche tecniche; poi, l’idea di arricchire le competenze è venuta dopo l’incontro con Domenico e Giovanna. «Abbiamo deciso di fare le valigie – prosegue Miriam –. Siamo stati prima in Thailandia e India, poi in Messico. Adesso siamo gemellati con il Museo della seta di Lione e con il consorzio Swiss Silk di Hinterkappelen».
Oggi, Nido di Seta organizza laboratori didattici per studenti che vogliono intraprendere una speciale eco-esperienza, imparando ad allevare bachi e a estrarre il filo come da tradizione. Per il borgo di San Floro è stata una rinascita, poiché le coraggiose idee di Miriam hanno subito destato l’interesse degli artigiani locali, al 99 per cento donne, che avevano ormai chiuso le attività, ma che ora si mettono a disposizione della piccola cooperativa. Una disponibilità che ha permesso anche a loro di risollevare la saracinesca delle proprie botteghe.
«I corsi della nostra Accademia serica hanno attirato molti giovani, provenienti da Argentina, Inghilterra e Finlandia, che desideravano imparare a lavorare la seta e a tingere con i pigmenti naturali». Coraggio, creatività e amore sono stati sufficienti per ripartire dalle origini e iniziare un viaggio nel tempo, che ha portato la cooperativa fino all’alta moda. «Curare la terra e valorizzare l’ambiente sono due aspetti importanti per lo sviluppo di un territorio, perché viviamo tutti nello stesso Pianeta e non esiste – come spesso si dice – un “Pianeta B”».
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