Speculazioni e rendite, male sociale
Da sempre l’economia è il risultato di una tensione, o di un conflitto, tra profitti e rendite, cioè tra chi per guadagnare deve produrre nuovo reddito nel tempo presente, e chi guadagna oggi per ricchezze accumulate ieri e dalla passate generazioni. Gli imprenditori vivono di profitti, gli speculatori di rendite. La critica radicale nei confronti dell’usura che troviamo nella Bibbia e nel Vangelo (di Luca) ha la sua radice in una profonda avversione verso la rendita. L’usura, in un mondo sostanzialmente statico come era quello antico, è infatti una forma di rendita, cioè un reddito che nasce dal solo fatto di detenere il potere su un mezzo fondamentale (la moneta). Non c’è lavoro dietro alle usure, solo la forza e i privilegi. La critica all’usura ha attraversato tutto il Medioevo e la Controriforma, perché si riallacciava alla critica della Chiesa nei confronti delle rendite, sebbene gli stessi ecclesiastici fossero parte della classe redditiera; una delle tante contraddizioni della storia, e anche delle ragioni della poca efficacia della lotta della Chiesa nei confronti dell’usura, una lotta che conviveva con privilegi, anche politici, accordati ai banchieri-usurai dei Papi.
La tensione redditi-profitti è un asse fondamentale per capire anche la nostra società. La critica marxista ha spostato la critica sociale sul conflitto capitalisti-lavoratori, e ha spiegato molto della società industriale. Ma con l’economia post-industriale, e con la diminuzione della rilevanza della grande fabbrica, siamo tornati all’antico fondamentale conflitto tra rendite e profitti, cioè tra gli imprenditori e i redditieri. Chi oggi continua a pensare che il conflitto fondamentale del nostro capitalismo sia quello tra imprenditori e lavoratori sbaglia target, perché si dimentica che il vero e grande conflitto è quello tra le rendite e tutte le altre forme di reddito (inclusi i salari dei lavoratori). La crescita della rendita sta schiacciando verso il basso sia i profitti degli imprenditori sia i salari dei lavoratori: «Viene poi un’altra suddistinzione delle classi sociali, plasmata sulla distinzione del capitale in produttivo e improduttivo: quella dei capitalisti produttori, esclusivamente dediti all’industria, e quella degli improduttivi, dei banchieri che non aumentano la ricchezza sociale, ma speculano sui valori, formando il loro reddito con prelevazione sui redditi altrui» (A. Loria, La sintesi economica, 1910, p. 211).
Ma dove si esprime oggi il conflitto rendite-profitti? In molti luoghi. Il primo che ci viene in mente è la grande finanza speculativa, i grandi fondi di investimento che stanno subentrando agli imprenditori nella proprietà e nel controllo delle loro imprese, vendute, negli anni difficili che abbiamo vissuto, per le irresistibili offerte dei fondi anonimi, senza volti e spesso senz’anima. La tassazione rafforza la dittatura delle rendite, perché la politica fissa imposte sulle rendite troppo inferiori a quelle sul lavoro. Oggi una nuova e sottovalutata forma di rendita è la consulenza. La consulenza delle grandi società globali si presenta infatti come un tassa per gli imprenditori, poiché la dipendenza (addiction) creata ad arte negli ultimi anni (ormai l’autonomia delle imprese è diventata pressoché nulla), fa sì che buona parte dei profitti finisca nelle varie forme di consulenza che si presentano come essenziali e necessarie. E come in tutte le forme di dipendenza, richiedono che ogni giorno se ne aumenti la dose. L’imprenditore, onesto e civile, oggi soffre perché viene scambiato con lo speculatore, perché troppi imprenditori si sono trasformati, a volte senza volerlo, in speculatori, divorati dalla sindrome della rendita. È ora di iniziare a vederlo, e a dirlo.
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