Tra difetto e incanto

Guardare alla disabilità, ma anche alla stessa vita, sotto la lente del difetto significa aprirsi al disordine da esso generato, per rintracciarvi l’incanto.
10 Novembre 2022 | di

Che cosa lega le parole «difetto» e «incanto»? Lo sa bene Tiziano Ferro, visto che in una delle sue più celebri hit canta proprio così: «Ho soltanto una vita e la vorrei dividere / Con te che anche nel difetto e nell’imperfezione / Sei soltanto... incanto, incanto». Su questa stessa scia, ad andare ancora più in profondità, c’è anche la voce di padre Antonio Spadaro, critico, teologo, direttore de «La Civiltà Cattolica» che su «l’Espresso» dello scorso 26 agosto 2022 ha dedicato un breve ma intenso articolo alla parola «difetto», accostandola ai concetti di bellezza, amore e accoglienza. Sia l’artista che il religioso colgono a mio parere un aspetto centrale del nostro modo di guardare alla vita e alle immagini che ne fanno parte. Da un lato c’è l’idea, la ricerca della perfezione, che si tende per natura a desiderare perché stabile e tranquilla, priva di crepe, fratture e imprevisti. Dall’altro la vita reale, che vive di inciampi, di sfumature e di squilibri. Eppure è proprio qui, sottolinea Spadaro, in ciò che è difettoso, che manca e «non funziona bene», come indica l’etimo del verbo de-ficiere, che viene il bello. Tutto ciò ha a che fare con il modo con cui guardiamo alla disabilità, che di perfetto ha poco, ma di certo non manca di essere e generare bellezza.

Dove si trova la bellezza nella disabilità? Esattamente dove si trova nel difetto, cioè in quell’imperfezione che ci rende esseri umani unici e originali. L’unicità che è propria delle specificità di ciascuno è quindi ciò che ci rende interessanti e ci fa persino innamorare delle persone e delle cose, perché ci porta a contatto con la vita, le sue avventure e le sue contraddizioni. Il disordine, lo dico sempre durante le mie formazioni, è infatti un’altra conseguenza del «difetto», perché sovverte ciò che ci si aspetta, canoni e pregiudizi prestabiliti che ci fanno agire relazioni fredde e automatiche. Non a caso la riflessione di Spadaro fa riferimento alle «macchine ordinatrici», i computer, le intelligenze perfette che imparano ma non comprendono. Guardare alla disabilità e alla vita stessa sotto la lente del difetto, significa dunque aprirsi al disordine e alle crepe da esso generate, per rintracciarvi l’incanto dell’incontro e del riconoscimento delle reciproche peculiarità.

Che dire allora? Della perfezione bisogna sempre un po’ diffidare, anche perché, lo sapeva bene il professor Andrea Canevaro, «perfezione» è una delle parole alla base dello stereotipo, motivo per cui, quando parlava di persone con disabilità e progetti di vita spesso chiosava: «Uno stereotipo può determinare un destino. Un progetto può mettere in disordine questo determinismo». Compito dell’educazione è quindi, oggi più che mai, aiutare a progettare la vita non in opposizione ma intorno al difetto, per riportare al centro il non conforme, accogliendone le sfide. Vi assicuro che ne rimarremmo sorpresi, forse, persino incantati. E voi, a quale dei vostri difetti siete più affezionati? Raccontatemelo, scrivendo a claudio@accaparlante.it oppure seguitemi sui miei profili Facebook e Instagram.

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Data di aggiornamento: 10 Novembre 2022

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