Tra potere, autorità e libertà
Quando noi diciamo «una decisione presa d’autorità» vogliamo proprio dire che su quella decisione c’è ben poco da discutere. Anzi, non possiamo far altro che adeguarci velocemente, obbedire, se necessario anche modificando qualche nostro punto di vista. Insomma, nella decisione presa d’autorità viene espresso tutto il potere di chi l’ha presa, ed è un potere che non ammette discussioni o alternative. Del resto, per chiarirci le idee basta consultare un buon dizionario della lingua italiana. Al vocabolo autorità, il dizionario ci dà come prima definizione: potere legittimo di emanare disposizioni vincolanti per i destinatari. Dunque il concetto stesso di autorità è ristretto a disposizioni vincolanti, non indirizzi generici o tanto meno semplici consigli.
Non ci sono dubbi: il concetto di autorità è vicinissimo al concetto di potere: possiamo dire, è l’altra faccia della stessa moneta. Le cose non cambiano quando il termine da astratto diventa concreto. Chi sono le autorità? Questo plurale viene a indicare, sempre secondo un buon dizionario d’italiano, un insieme di persone investite di pubblico potere. «Riservato alle autorità» ci può capitare di leggere, quando siamo invitati a una cerimonia, e quella scritta sta lì per indicare dei posti che, di solito, non ci è permesso di occupare.
Autorità fa rima con fiducia
Ora, se nella nostra lingua esistono questi due vocaboli, autorità e potere, così diversi tra loro anche se con significato simile, e noi abbiamo la possibilità di scegliere l’uno o l’altro, ci sarà pure una ragione per questa duplicità. Sì, una ragione c’è, e sta nel fatto che i due termini non hanno affatto lo stesso significato, anche se noi superficialmente li prendiamo per sinonimi; e proprio andando a curiosare nelle origini del nostro linguaggio scopriremo come la parola, il concetto, l’idea stessa di autorità sia nata con un orizzonte molto più ampio di quello al quale oggi è ristretta assimilandola al semplice potere.
La parola «autorità» deriva dal latino auctoritas, e questo vocabolo latino è costruito sul verbo augeo, augère, che vuol dire alimentare, far crescere. Da questa scoperta sull’etimologia del nome si muove un saggio recentemente ripubblicato del filosofo Augusto Del Noce, che una cinquantina d’anni fa venne incaricato dall’editore Treccani di comporre la voce «autorità» per l’Enciclopedia del Novecento. Il valore originario del concetto di autorità, dunque, non è legato all’idea di potere ma piuttosto all’idea di esercitare una guida: una guida che serva a formare, a forgiare, a indirizzare: appunto, a far crescere. E quest’idea è rimasta ancora chiara nel nostro aggettivo autorevole, con tutti i derivati, che, sempre ricorrendo a un buon dizionario, vuol dire «che ha autorità per la stima o il favore di cui gode, che merita fiducia». Fiducia, dunque. Ecco allora da dove nasce l’idea stessa di autorità. C’è una bella distanza di qui alle mura fortificate del potere assoluto nel cui perimetro il nostro mondo ha a poco a poco relegato il concetto di autorità.
È interessante, in casi come questo, e certamente anche molto utile, compiere un breve viaggio di esplorazione per capire bene il significato delle parole che usiamo. Perché, come ci insegnano gli antichi greci, la parola, che nella loro lingua era logos, è innanzitutto pensiero. Le parole che noi pronunciamo e scriviamo, e che fanno parte della nostra esperienza personale e sociale, le parole che abbiamo imparato fin da bambini, il nostro stesso vocabolario, che è andato ampliandosi con l’arricchirsi della nostra esperienza, derivano sì da un’elaborazione del nostro intelletto, ma anche della nostra cultura, e soprattutto dalla storia che sta alle nostre spalle.
Potere: abuso di autorità?
Dunque, proprio andando a cercare nella nostra storia, scopriamo che il significato della parola e del concetto stesso di autorità, per dirla coi nostri maestri greci il «logos autorità», è scivolato, nel tempo, da un’idea di guida necessaria all’ordine e all’armonia della vita comune, una guida generalmente accettata e riconosciuta, verso l’area molto più ristretta del potere, il cui esercizio spesso si presenta come indiscutibile, fino ad arrivare addirittura a un potere assoluto. Perché questa evoluzione? Impossibile delineare le tappe di questo passaggio. Certo, le parole, insieme con i concetti che rappresentano, si evolvono accompagnando l’evoluzione delle nostre idee, ma anche i fatti e gli accadimenti della vita politica.
Possiamo fare l’ipotesi che questa mutazione nel significato di autorità sia avvenuta anche perché coloro che rivestivano un’autorità universalmente accettata non seppero resistere alla tentazione di abusarne. Pensiamo, ad esempio, ai sovrani assoluti settecenteschi, che troppo spesso si valsero di un potere arbitrario, dove, anziché la convinzione, valeva la costrizione, anziché il consenso, la paura. Ecco perché, in Europa, venne un giorno in cui abbattere l’Autorità in nome della Libertà era diventato prima un sogno, poi una speranza, infine un progetto: uno di quei progetti che cambiano la Storia. Con la rivoluzione francese, scoppiata sul finire del Settecento, il progetto viene messo in atto, con tutto il tributo di violenza e di sangue che sappiamo. E in tutte le vicende che di lì si sono succedute, la contestazione dell’autorità-potere si è sempre più solidamente insediata nella coscienza collettiva. Ormai tutta la nostra cultura ne è pervasa e l’ha fatta diventare pensiero dominante. E la rivoluzione francese nella nostra coscienza collettiva è diventata la pietra miliare di questa evoluzione.
Ma l’abbattimento di un’autorità che era degenerata in arbitrio ha portato anche come conseguenza una crisi profonda della società. Perché un’autorità, intesa nel senso più pieno e profondo, quindi come guida del vivere civile, non come costrizione dittatoriale, è pure indispensabile alla convivenza sociale, come è dimostrato dal disorientamento che oggi constatiamo nella famiglia, nella scuola, nella Chiesa stessa, e non solo: sono rimessi in discussione i legami e le gerarchie su cui tutta l’organizzazione sociale del mondo cristiano occidentale si era poggiata nei secoli e nei millenni. Diciamolo pure: oggi l’autorità, anche semplicemente l’idea di autorità, abita in un terreno sotto assedio e certo non gode di momenti felici. E le viene contrapposta l’idea vincente dei nostri giorni: l’idea di libertà. Qui sta, oggi, il vero nocciolo della questione: nel conflitto tra autorità e libertà che ha portato a un’eclissi dell’idea stessa di autorità a favore di una libertà senza confini.
La scomparsa del padre
In quale altra epoca della storia si è vissuto un così alto culto della libertà? Addirittura, negli ultimi decenni abbiamo visto le grandi battaglie per la liberazione degli individui da ogni vincolo: liberazione sessuale, liberazione della donna, liberazione delle minoranze, di ogni tipo di minoranza. Bene. Ma le conseguenze sociali? Perché tutto questo di cui stiamo parlando non è un processo intellettuale che riguardi solo ristretti ambienti culturali, non è una disputa tra filosofi. È il ribaltamento di gerarchie e priorità che, nel bene o nel male, hanno comunque tenuto insieme una società complessa e così ricca di valori come la nostra. Le conseguenze di questa precipitosa evoluzione le possiamo constatare nella nostra esperienza e nella vita di tutti i giorni.
Uno degli effetti più drammatici, forse il più drammatico, di questo sgretolamento dell’autorità, si presenta nella scomparsa dell’idea del padre. La figura paterna è messa in ombra nella società di oggi. Tutto ciò che può anche indirettamente suggerire l’immagine paterna viene contestato. E questa contestazione si salda con degenerazioni come la cancel culture, che pretende di eliminare quelle figure che hanno nella nostra memoria collettiva un carattere «paterno», e hanno contribuito alla costruzione della nostra storia. Queste figure vengono rozzamente ritenute colpevoli delle ingiustizie che sono venute dopo di loro, seminando macchie d’ingiustizia nelle pagine successive della loro opera. Persino le statue di Cristoforo Colombo vengono abbattute perché dal prodigio della sua scoperta è nato un mondo nel quale, poi, ha trovato albergo anche la schiavitù.
Certo, ogni crisi, pur nello stato di perturbazione, di dubbio, di incertezza che genera, porta anche i germi di una scelta rigenerante. E non dimentichiamo che la parola crisi deriva dall’antico greco krìsis, che significa appunto scelta. Perciò auguriamoci e speriamo che, superando i deliri ideologici, il nostro mondo trovi, nei passi che lo aspettano, una rinnovata idea di autorità, purificata da quegli eccessi le cui conseguenze sono da noi pagate, ancor oggi, a così caro prezzo.
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