Un fisico bestiale

Trovano sempre più spazio narrazioni su identità che sfidano in modi diversi l’idea di normalità. Non solo disabilità, ma anche «alterità» e «differenza».
16 Febbraio 2021 | di

Chi non ha mai canticchiato sotto la doccia questa canzone? «Ci vuole un fisico bestiale / Per resistere agli urti della vita / Ma quel che leggi sul giornale […]». Si tratta del cavallo di battaglia di Luca Carboni, una canzone del 1992. A una lettura attenta, ci rendiamo conto che il testo parla di qualcosa che riguarda tutte e tutti molto da vicino: il nostro corpo. Quello con cui abbiamo a che fare dal momento in cui nasciamo all’attimo in cui muoriamo. Che rapporto abbiamo con il nostro corpo? Ma, soprattutto, il nostro corpo è «normale»? E se invece fosse diverso? Ma diverso da che cosa? 

Da molti anni mi soffermo a osservare come il corpo «diverso» della persona con disabilità viene rappresentato nelle fiction, nei film, nel mondo della pubblicità. Posso così affermare che, di recente, le rappresentazioni dei corpi sono aumentate nei media, se non altro perché questi ultimi sono entrati a far parte in maniera sempre più pervasiva delle nostre vite quotidiane. Le pagine dei social media, per esempio, rappresentano oggi quasi rampe di lancio per entrare in scena: una scena molto più libera e interattiva rispetto a quanto concesso da televisione e cinema. 

È quindi inevitabile che, in questo crescere di rappresentazioni, aumenti anche la quantità di corpi non conformi in tutti i media. Finalmente possiamo dire che non ci sia paura nel guardarli e nel rappresentarli: l’immaginario collettivo è ora pronto a questo. Una conferma in tal senso arriva dai docenti Fabio Bocci e Alessandra M. Straniero che in Altri corpi. Visioni e rappresentazioni della (e incursioni sulla) disabilità e diversità (Romatre Press, 2020) scrivono: «Hanno trovato così sempre più spazio narrazioni su identità che sfidano in modi diversi l’idea di normalità (sia essa culturale o di genere) fondata sulle (presunte) norme culturali dominanti».

Non si parla quindi solo di disabilità, ma di «alterità» e «differenza». Gli autori ci ricordano che è aperto un dibattito sul potere normalizzante dei media. È vero: avendo moltissimi corpi differenti come esempi all’interno dei media è più facile identificarsi e c’è una pluralità di narrazioni e punti di vista. Tuttavia, dobbiamo ricordarci che le immagini, così come altri messaggi, diventano facilmente «di moda». L’alterità, come la diversità, può allora diventare una «categoria culturale sfruttabile economicamente», per dirla con le parole puntuali di Bocci e Straniero. 

Ma vorrei portare un esempio di rappresentazione della diversità, a mio parere molto significativo. In questi giorni mi sono imbattuto in un corto animato, Nobody is normal, realizzato dalla giovane animatrice londinese Catherine Prowse per Childline, organizzazione inglese per la tutela dell’infanzia. Si tratta di un curioso racconto, ambientato in una scuola: il protagonista si sente diverso, il suo corpo nasconde qualcosa di differente dagli altri… Si sentirà solo, ma poi scoprirà che tutti i corpi hanno parti ed energie nascoste, proprio come il suo. È un video per bambini, ma anche per grandi, perché tutti abbiamo un corpo non conforme. E voi? Che rapporto avete con il vostro corpo? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook o Instagram.

 

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Data di aggiornamento: 16 Febbraio 2021
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