Un genio a tutto tondo
Unico, universale, immortale. Sono questi gli aggettivi con cui, da oltre due secoli, storici dell’arte, critici, studiosi, estimatori e appassionati descrivono Antonio Canova (Possagno 1757-Venezia 1852), scultore acclamato dai contemporanei come il nuovo Fidia, di cui ricorre quest’anno il bicentenario dalla morte. Un genio indiscusso, le cui opere continuano a essere uniche, universali, immortali. Un maestro che, senza rinunciare a essere moderno, fece rinascere l’antico in scultura, ma anche un collezionista, un diplomatico, un protettore delle arti, autore di innumerevoli scritti e lettere, una delle personalità più significative del mondo culturale e politico a cavallo tra XVIII e XIX secolo. Un’epoca di guerre e rivoluzioni in cui l’artista italiano, conosciuto in tutta Europa, regalò con le sue opere bellezza e speranza, creando un’arte in perfetto equilibrio tra reale e ideale, avvicinando l’uomo al mito e ispirando azioni e sentimenti di armonia e di pace.
«L’ultimo grande artista che ha chiuso l’arte dell’Occidente ha unito tutto, non ha diviso – ha detto Vittorio Sgarbi, critico d’arte e presidente della Fondazione Canova –. È stato un grande conciliatore di ogni conflitto, di ogni differenza». La sua Pace, commissionata dal politico e diplomatico russo Nikolaj Petrovič Rumjancev, ideata nel 1812 e realizzata nel 1815, pensata come omaggio alla famiglia Rumjancev, fautrice di alcuni trattati di pace tra Russia e altri Paesi, è oggi al centro di grande attenzione e nuova fama. L’originale in marmo è custodito al Museo Nazionale Khanenko di Kiev e attualmente nascosto per tutelarlo dai bombardamenti della guerra tra Russia e Ucraina. A grande richiesta, il calco in gesso, che si trova a Possagno (TV), sta girando Italia ed Europa tanto da diventare icona contemporanea del dialogo oltre i conflitti.
La semplicità del sublime
«Oggi come ieri Canova incanta con la bellezza eterna e senza tempo delle sue opere, magicamente percorse da un palpito di vita – afferma il professor Francesco Leone, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, coordinatore del Comitato di Studio della Fondazione Canova “Museo, Gypsotheca Antonio Canova” di Possagno –. L’immortalità delle sue opere sta racchiusa nell’inconfondibile “respiro”, rimasto inalterato nei secoli. Un afflato che l’artista estrae dalla materia, dando forma e vita al marmo come mai altri riuscirono a fare in quell’epoca. Materiale ostico, duro e freddo, almeno fin quando Canova, in un gioco sapiente e curato fino all’ultima levigatura di pieni e vuoti, restituisce l’eternità dei protagonisti partendo dalla dinamicità delle forme. Una padronanza della materia, che gli deriva dall’aver iniziato da piccolo, subito dopo la morte del padre Pietro quando non aveva ancora 4 anni, a lavorare a fianco del nonno Pasino, tagliapietre e scultore locale, e dall’acuta osservazione della realtà, in particolare della natura».
La semplicità del sublime canoviano è data da un elemento: la luce. Non una qualsiasi, però, bensì quella del bianco abbacinante delle cave di pietra del Pedemonte del Grappa, da cui veniva estratto il marmo lavorato tra i sudori e la polvere, apprendendo il duro mestiere dello scalpellino. Quella stessa luce che nel 1957 seppe cogliere e magistralmente valorizzare l’architetto Carlo Scarpa nel progetto della nuova ala museale. Canova realizzò 176 opere oltre a 22 quadri e un grandissimo numero di studi, disegni e modelli. Il tutto fu prodotto, se non si contano i lavori giovanili, in circa 30 anni di attività artistica. «Custodire un grande e inestimabile patrimonio come quello lasciato da Canova significa anche prendersi cura degli edifici che lo ospitano – afferma la direttrice del Museo di Possagno, Moira Mascotto –. Questo il significato del restauro della casa natale, ultimato proprio per il bicentenario, che si colloca sul solco di interventi realizzati per restituire le opere ai luoghi e al territorio che nel tempo, a loro volta, li hanno conservati».
La prima volta che la direttrice mise piede a Possagno era poco più che una ragazza. «Ricordo ancora l’emozione e lo stupore di quella visita. Gli stessi che ritrovo negli occhi di tanti visitatori, tra cui molti studenti, ammirati di fronte a tanta bellezza. All’esterno il Museo può sembrare un edificio qualsiasi ma poi, appena varcata la soglia, si schiude un mondo inaspettato, un luogo talmente rarefatto da lasciare a bocca aperta. Quello che cerchiamo di trasmettere è passione e amore per questo artista, gli stessi sentimenti che ci animano nel narrare la sua arte eterna». Mascotto non nasconde un’altra emozione: l’essere riuscita a scoprire un’opera inedita: il dipinto della Maddalena penitente (la mostra dossier prorogata fino al 31 ottobre con la possibilità di un’ulteriore esposizione nel 2023). La tela, di proprietà privata, è stata posta in dialogo con la scultura della Maddalena penitente conservata nel Museo e con la quale il dipinto presenta puntuali analogie stilistiche e iconografiche. Canova meditò in diverse occasioni sul personaggio biblico di Maddalena, figura femminile tra le più rappresentate nel corso della storia dell’arte, che in questo caso viene raffigurata nel suo percorso di ravvedimento, carica di pathos e verità.
Il dolore scolpito
Un altro interessante percorso espositivo è quello che comprende i due modelli in gesso delle Stele Mellerio e il Taccuino di disegni che appartengono alla collezione di Possagno (prorogata all’8 gennaio 2023). Un’occasione per riflettere su come Canova, autore di numerosi monumenti funerari, sviluppa il tema del dolore. «In termini foscoliani, con Canova il sepolcro si elevò a luogo deputato alla riflessione laica sui misteri dell’esistenza umana e della morte – spiega il professor Leone –. Come la poesia in Foscolo, così la scultura in Canova, con la sua armonia, divenne il pascolo della memoria, la testimone che “vince di mille secoli il silenzio”». A Bassano del Grappa (VI) la rassegna «Io, Canova. Genio europeo» restituisce dell’artista un’immagine inedita, affascinante e attualissima, indagando alcuni aspetti mai affrontati prima: tra questi, la formazione, la maturazione artistica e la partecipazione alla storia europea e mondiale di questo straordinario protagonista, che fu capace di orientare il gusto di un’intera epoca.
Anche Perugia, città alla quale Canova era legato, oltre a Roma, Firenze e Napoli, celebra il bicentenario con una mostra-itinerario incentrata sul nucleo dei gessi canoviani conservati al Musa, tra cui Le tre Grazie, donate dallo stesso scultore nel 1822. Esposta anche la colossale testa del cavallo, modello del monumento equestre a Ferdinando I di Borbone, «riscoperta» in questa occasione ed esposta a palazzo Baldeschi in un inedito confronto con la testa del cavallo del Marco Aurelio, il calco fatto eseguire e preso a modello da Canova, oggi a Ravenna. Prima delle celebrazioni solenni, il 16 ottobre, e di altre iniziative in programma nel 2023, lo scultore sarà ricordato a Possagno con una messa nel Tempio che accoglie le sue spoglie. Il rito sarà officiato il 13 ottobre alla stessa ora, le 7.45, in cui il grande artista morì 200 anni fa.
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!