Dio nella città vive
Il tema «città» interessa tanto, anzi, sempre di più. Perché una fetta crescente di popolazione mondiale la abita. A oggi, 54 persone su 100 vivono in contesto urbano: si arriverà a 66 nel 2050. In Europa siamo già a 73, da noi in Italia a 69, secondo l’ultimo World Urbanization Prospects (Prospettive dell’urbanizzazione mondiale).
Ora, spostiamoci in campo ecclesiale e tiriamo subito una conclusione: papa Francesco è il Pontefice più «urbano» della storia della Chiesa. Infatti, è l’unico successore di Pietro ad aver guidato la pastorale di una «megacittà» (Buenos Aires conta 15 milioni di abitanti). La riflessione argentina sul tema della pastorale urbana è all’avanguardia.Il contributo più efficace ruota attorno a una singola affermazione, capace in un colpo solo di spiazzare una certa visione logorata che prevede per le metropoli un destino immancabilmente funesto: «Dio vive nella città». Anzi, per la precisione: «La fede ci insegna che Dio vive nella città». Prima di ogni nostro sforzo di «importarlo», più o meno di contrabbando.
Il Papa insiste sull’argomento anche nell’Evangelii gaudium: «La nuova Gerusalemme, la Città santa (cfr Ap 21,2-4), è la meta verso cui è incamminata l’intera umanità. È interessante che la rivelazione ci dica che la pienezza dell’umanità e della storia si realizza in una città. Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. (...) Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata» (EG 71).
Può sembrare strano – probabilmente è solo profetico! –, ma i pensatori cristiani che hanno offerto il loro contributo alla comprensione della città parlano esplicitamente di «contemplazione», parola che siamo soliti associare al sacro, al limite alla natura nelle sue manifestazioni più splendenti.
Così anche Carlo Maria Martini, nella Lettera per la città di Milano del 1991: «La “novità” della cosiddetta “nuova evangelizzazione” non va cercata in nuove tecniche di annuncio, ma innanzitutto nel ritrovato entusiasmo di sentirsi credenti e nella fiducia dell’azione dello Spirito Santo (...). Non ci mancano né le parole da dire né gli strumenti pastorali. Ciò che è necessario è la gioia e l’entusiasmo della vita cristiana che scaturisce dalla contemplazione».
È proprio quanto chiede ai cristiani papa Francesco: il primo invito non è a cambiare la città, ma a cambiare lo sguardo su di essa. All’Evangelii gaudium (71-75) si può accostare un altro breve scritto molto efficace del cardinal Bergoglio, Dio nella città (San Paolo 2013, ma risalente al 2011), dove si legge: «Lo sguardo di fede cresce ogni volta che mettiamo in pratica la Parola. La contemplazione migliora nel mezzo dell’azione. Agire da buoni cittadini – in qualunque città – migliora la fede. Paolo raccomandava sin dall’inizio di essere buoni cittadini (cfr Rm 13,1). (...) Vivere a fondo l’umano, in ogni cultura, in ogni città, migliora il cristiano e feconda la città (dandole un cuore)».
«La stessa idea – rimarca padre Francesco Occhetta, gesuita, redattore de “La Civiltà Cattolica” – papa Francesco la riprende nella Laudato si’, in cui parla della città ben 27 volte. Chiede di promuovere una “ecologia culturale”: contribuire a non sprecare, bonificare le zone pericolose, introdurre una nuova idea di giustizia per riconciliarsi... In questo sforzo il Signore ci accompagna a costruire la città».
La sfida è, ancora una volta, in uscita nelle parole di papa Francesco: «Come Zaccheo, la buona notizia che il Signore è entrato nella nostra città ci dà slancio e ci spinge a uscire per le strade», mettendo da parte paure e pessimismi, e impegnando i talenti nella costruzione del Regno, con una buona dose di carità.
L’articolo completo è pubblicato nel numero di ottobre 2016 del «Messaggero di sant’Antonio» e nella versione digitale della rivista.