La foto ostinata
Da quanto tempo l’uomo con il maglione rosso è seduto su quella roccia? Ho pensato: è bello, quest’uomo.
Siamo sulle sponde del lago Saint Louis, Montagne Rocciose, Canada. Molti anni fa. Questa foto è una scansione di una diapositiva (una delle poche che ho fatto fare; le altre, temo, sono perdute).
Di cosa si è innamorato quell’uomo?
Un amico fotografo mi fa notare: sta utilizzando una macchina di grande formato, forse un piccolo banco ottico, sicuramente a soffietto. Tempi lontani, fotografia «lenta», accurata, foto di testa e di cuore. Da quanto è seduto su quella roccia?
Il cavalletto, no. Era (la foto ha molti anni) di nuova generazione. «Un nipote che sorregge un nonno», mi suggerisce sempre l’amico fotografo. C’è una punta di rimpianto… no, di nostalgia, immagino.
Oggi le macchine fotografiche hanno un software che decide per noi. I produttori di hardware fotografico non lavorano semplicemente su un incastro di plastiche e di circuiti, stanno lavorando su di noi. La mia Olympus ha cambiato il mio modo di fotografare. Ha cambiato me. Mai avrei immaginato di fotografare senza guardare nel mirino. Oggi, me ne rendo conto, sono più distratto.
Ma è quest’uomo che mi interessa. Perché decido, molti anni dopo, di pubblicarla in un sito web?
Perché fatico a cercare parole? Dopo aver usato quelle di Michele Smargiassi, raffinato critico della fotografia, uso le parole di Roland Barthes (non volevo arrivare a tanto): noi possiamo scegliere e, grazie alla fotografia, «affrontare il risveglio dell’intrattabile realtà».
Quell’uomo fra le montagne canadesi, con la sua vecchia macchina fotografica, voleva raccontare solo la bellezza di un lago incastonato fra le montagne? Non gli bastava «guardare» quella meraviglia? Bisognava riportarla in città per mostrarla ad altri? «Tutto ciò che non è fotografato è perduto», credo che dica Antonino Paraggi, fotografo dilettante di un antico racconto di Italo Calvino. Ma quelle montagne, quel lago rimarrà lì ancora per millenni e millenni e sarà possibile (è già possibile) fotografarlo senza nemmeno andarci.
Io non so usare quella macchina a soffietto. Non ho la pazienza, né il sapere. Ho scattato quella foto con una Nikon pesantissima, che usavo malamente. L’uomo indossava un maglione rosso (una benedizione per un fotografo, dicono che i fotografi di National Geographic viaggiassero sempre con uno straccio rosso in tasca da sistemare in una inquadratura), il berretto di lana nera in testa, la barba bianca… e quella canoa stava aggirando l’ostacolo visivo del cavalletto e ruotando verso la sponda. Era l’istante perfetto per la mia incapacità. Se non avessi scattato, oggi quel momento sarebbe dimenticato. Perduto.
Perduto? Ne sono sicuro?
(Ho scritto questo post perché mi sono messo a frugare nelle foto e l’uomo che fotografa è riapparso per caso: questo è il settantaduesimo post di questa rubrica, vuol dire che sono passati tre anni da quando questo gioco è cominciato. Le foto sono come il tempo. Incomprensibili. Come vorrei vedere la foto che quell’uomo scattò…).
1 comments