La casa dentro di noi
Era una tiepida mattinata di ottobre e il sole splendeva alto nel cielo quando ho ricevuto un invito a partecipare all’avvio di un progetto davvero interessante: l’inaugurazione di una comunità mamma-bambino dell’Opera Padre Marella, in provincia di Bologna. E chi non conosceva la magnifica persona che era fra Giuseppe Olinto Marella? Colui che aveva scelto di percorrere la strada della carità per meglio comprendere la vita di poveri e bisognosi, dando «la possibilità a tante persone frettolose, distratte e indifferenti, di riflettere, arrestare la loro corsa e mettere in moto il meccanismo interiore della solidarietà», come si può leggere sul sito della fondazione stessa.
Tra i presenti, quel giorno, non poteva mancare al taglio del nastro l’Arcivescovo della città di Bologna, Matteo Maria Zuppi, il quale, parlando del concetto di accoglienza, ha affermato parole davvero significative: «Ognuno di noi ha una casa dentro da inaugurare!». Perciò non ho potuto fare a meno di chiedermi: «Che casa può avere dentro di sé una persona con disabilità, e quali sono le stanze che la compongono?».
Una questione che probabilmente apre a nuovi orizzonti sul fronte dell’accettazione della propria condizione. Certo è che una casa che si rispetti non può non avere queste stanze: la stanza della responsabilità, in cui sia la persona con disabilità sia chi l’assiste sono consapevoli di correre dei «rischi», ed è pertanto necessario trovare un buon equilibrio tra il bisogno di «chiedere aiuto» e il bisogno di «privacy»; la stanza dell’autodeterminazione, dove ciascuno mette in campo la propria volontà per poter intraprendere un percorso di autonomia; la stanza della cura di sé, in cui si imparano a conoscere le proprie necessità e i propri limiti; la stanza della relazione, nella quale è fondamentale osservare per conoscere, senza giudicarsi e giudicare l’altro; infine, la stanza della leggerezza, quello spazio in cui impariamo a non prenderci troppo sul serio e a cogliere la bellezza della vita in tutti i suoi aspetti, sia positivi che negativi.
Queste stanze fanno parte della casa della consapevolezza di sé, che mette tutti sullo stesso livello, persone con e senza disabilità. In fondo, è risaputo come l’essere umano abbia spesso difficoltà a trovare la propria identità, dal momento che la società odierna porta l’individuo a dover garantire una perenne performance, ossia a misurare il proprio valore in base alle sue prestazioni, a quanto riesce a produrre, con l’immediata conseguenza di avere costantemente l’ansia di essere conforme ai canoni preposti. Nel corso della propria esperienza, una persona con disabilità (ma non solo) che vuole pensarsi in un progetto di vita indipendente, può rendere accogliente la propria dimora, costruendo tutte queste stanze. Direi che è certamente una bella sfida, perché non è affatto scontato riuscire a tagliare il nastro che inaugura la casa della consapevolezza di sé. E voi, che stile di arredamento scegliereste per ognuna delle vostre stanze? Scrivete a claudio@accaparlante oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.
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