Nelle mani del Doc
Le «rinascite» e le relazioni, come sappiamo, trovano tanti modi e contesti per svilupparsi e questo può succedere anche negli stessi ospedali, luoghi nei quali le persone più risentono della costrizione e più lottano per la vita.
Molti di voi avranno senz’altro visto la serie televisiva Doc. Nelle tue mani, protagonista il noto attore Luca Argentero. Il sottotitolo parla chiaro. Quanto ci siamo messi nelle mani di medici e infermieri, in questo recente periodo così complesso, e quanto loro lo hanno fatto con noi, consci dell’imprevedibilità delle reazioni di pazienti insicuri e spaventati? E questo scambio, questo reciproco «mettersi nelle mani di», mi piacerebbe proprio fosse al centro della riflessione pasquale di quest’anno.
Per farlo prendo a prestito un’immagine che ha sempre a che fare con la medicina. È una fotografia, tratta dal reportage di Francesco Armillotta Una giornata in sala operatoria, che nel 2017 si è conquistata il primo premio del concorso «Scatto InsuperAbile», indetto da SuperAbile Inail all’interno della sezione disabilità e lavoro.
Protagonista è il chirurgo ortopedico Marco Maria Dolfin, nel privato anche nuotatore paralimpico, che, nonostante abbia acquisito una disabilità a causa di un incidente, non ha mai rinunciato alla sua professione, cercando di utilizzare nuovi strumenti e ausili. Che cosa stava pensando il dottor Dolfin quando si è apprestato a eseguire il suo intervento? E, dall’altra parte, quali sono stati i pensieri del paziente, disteso inerme nel lettino in balìa delle azioni del medico? Ci si può fidare di una persona con disabilità? Ci si può mettere nelle sue mani addirittura per farsi curare?
Non è facile rispondere a tutte queste domande senza reticenze, non lo è nemmeno per me che so bene che cosa vuol dire essere costantemente nelle mani di qualcuno. La paura che per una persona con disabilità, seppur mossa da tutte le buone intenzioni del caso, sia più facile sbagliare, c’è ed è istintiva.
Un pensiero che, tuttavia, appartiene, non dovrebbe sorprendere, anche all’altro lato della barricata. In particolare quando il beneficiario delle cure non è del tutto in grado di esprimere le proprie paure e bisogni. Mi piacerebbe, un giorno, poter scambiare due parole con i pazienti operati dal dottor Dolfin. Credo che scoprirei che il loro non è stato affatto un atto di abbandono improvviso, ma il frutto di un percorso di fiducia e di messa in relazione profonda con il medico e la sua storia.
Entrare in contatto con il vissuto della persona, con la sua disabilità, ma soprattutto con le sue abilità e competenze, saranno stati i passaggi essenziali che hanno permesso a questa bella immagine di emergere tra le altre in modo così dirompente. Che dire? Spero che la pandemia di questi anni, oltre ad averci procurato difficoltà e disagi, ci stia insegnando approcci alla vita più liberi e coraggiosi, come il «mettersi nelle mani di» qualcuno senza paura. Buona Pasqua a tutti!
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