Scienza al servizio dell’uomo
Scienza. Di questi tempi se ne fa un gran parlare in diversi ambiti, come quello sanitario, energetico e tecnologico. Ma con quali occhi guardiamo al mondo scientifico? Forse, semplificando, ci sono due prospettive che spesso ricorrono. La prima intende la scienza come prodotto della ragione umana capace di risolvere tutti i problemi del mondo grazie all’avanzare della ricerca: con il tempo e il progresso ogni questione sarà risolta, perfino la sconfitta della morte appare un orizzonte plausibile. Un’altra prospettiva ritiene che gli orientamenti della scienza siano decisi da chi detiene il potere, che sceglie quali investimenti di ricerca operare e quali no: questo porta a una sfiducia nei confronti dei risultati, perché sorge l’idea che siano guidati da interessi di pochi.
Anzitutto direi che è improprio parlare di «scienza». Non esiste un’unica scienza, un unico sistema capace di spiegare tutto a partire da alcuni principi: ogni disciplina ha i suoi presupposti che sono diversi a seconda delle sue peculiarità (ad esempio, i fondamenti della psicologia non sono gli stessi della chimica). Ciò che rende scientifica una disciplina è la presenza di un metodo di analisi della realtà, di un insieme di procedure attuabili e verificabili. Anche i presupposti dai quali ciascuna scienza parte, che vengono dal buon senso e dall’osservazione, non sono incontrovertibili: c’è bisogno, spesso, di riformularli, ma soprattutto di capire quali sono i limiti entro cui una certa teoria funziona (come è accaduto in fisica per la teoria della relatività).
Tutto questo contesta l’idea che sia possibile, con il progresso scientifico, arrivare a spiegare tutto. Eppure, ci rendiamo conto dei passi da gigante che sono stati fatti, soprattutto nello sviluppo tecnologico (aerei, razzi spaziali, computer, robotica…); c’è da chiedersi, però, se l’uomo non sia rimasto un po’ indietro. Si nota, infatti, una forte discrepanza tra le potenzialità dei mezzi che abbiamo e l’uso che ne facciamo: l’utilizzo dei dispositivi spesso è minimale (rispetto alle possibilità dell’oggetto) e poco consapevole (pensiamo, ad esempio, agli smartphone). Molte volte manca un’educazione all’uso che aiuti a comprendere quali sono gli effetti del nostro modo di rapportarci con tali mezzi, per evitare il rischio di non essere più noi a servircene ma di venire sopraffatti da essi.
Un altro aspetto è legato al fatto che la ricerca ha bisogno di essere finanziata e quindi risponde a degli interessi: in tal senso, le scienze si prestano a diventare strumenti di potere. L’ottimo sarebbe che gli investimenti fossero orientati al bene comune dell’umanità, ma spesso si insinua il tornaconto di pochi. Per questo è molto importante garantire dei luoghi in cui sia possibile sviluppare la ricerca in modo autonomo: penso soprattutto alle Università, che purtroppo risentono della mancanza di risorse per sviluppare adeguatamente i loro percorsi. Anche in questo caso, però, l’autonomia non è assoluta: non concordo nel dire che la ricerca e la scienza hanno valore di per sé, in quanto, essendo attività umane, hanno valore in relazione all’umanità, sono chiamate a promuovere una crescita integrale dell’uomo, senza tentare avventate sostituzioni (come la pericolosa idea che se qualcosa è tecnicamente possibile, allora è eticamente accettabile).
Nell’esperienza cristiana, la scienza è dono di Dio: non un prodotto della complessità umana, ma una potenzialità ricevuta che si esprime nella capacità di essere acuti e riflessivi osservatori della realtà. Non un possesso da trattenere, ma una scoperta da condividere, rimanendo nell’umiltà, che è quanto la ricerca scientifica stessa ci insegna, mostrandoci anzitutto i limiti del nostro conoscere e sapere.
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