Cibo: più semplice, più sano
Sebbene le linee guida più autorevoli invitino ad attenersi alla cosiddetta «dieta mediterranea» – che da qualcuno viene declinata un po’ a piacimento, ma che prevede un’equilibrata e varia distribuzione dei cibi tra le fonti di carboidrati, grassi e proteine –, le mode alimentari incrociano indicazioni contrastanti: chi dice che sarebbe meglio evitare tutti i grassi, o tutti i prodotti di origine animale, oppure sale, zucchero e farina, considerati da qualcuno come «veleni bianchi», o ancora escludere tutti i carboidrati, come nella paleo-dieta, per non parlare dei più o meno prolungati e strutturati digiuni. Come orientarsi?
Attratti dai cibi elaborati
Negli ultimi anni è emerso un aspetto dell’alimentazione che può considerarsi un indicatore affidabile associato al rischio aumentato di molte malattie e a una parallela riduzione dell’aspettativa di vita. È il consumo abituale di cibi ultraprocessati, cioè prodotti a livello industriale con molti ingredienti, conservanti, additivi, coloranti: bibite, succhi ed energy drink, ma anche pasti sostitutivi e barrette energetiche; zuppe istantanee in polvere e prodotti da forno di ogni tipo; snack di vario tipo; bastoncini di pollo o di pesce; gelati e dolciumi industriali; yogurt e cereali per la colazione, entrambi solo se zuccherati, e perfino latte in formula per i più piccoli. Per non parlare di wurstel o salsicce.
In chi porta più spesso questi piatti a tavola, per esempio, un grande studio francese su quasi 105 mila adulti ha dimostrato qualche anno fa un aumento del 10% del rischio di cancro, e in particolare di cancro al seno; un altro, più recente, portato a termine da ricercatori della Tufts University di Boston, suggerisce che questo modo di mangiare aumenti il rischio di tumore al colon negli uomini; il lavoro italiano dell’Istituto Neuromed di Pozzilli (Isernia) sulla popolazione molisana mostra che gli adulti con peggior qualità dell’alimentazione e maggior consumo di cibi lavorati sono ad alto rischio di mortalità per qualunque causa e in particolare per malattie cardiovascolari.
Dai dati di un grande studio britannico su oltre 72 mila over 55 inizialmente sani, è emerso che per ogni aumento del 10% nel consumo di cibi ultraprocessati il rischio di sviluppare demenza, soprattutto su base vascolare, aumentava nel corso di una decina di anni di quasi il 25%. Una prima spiegazione a questi dati è che in tutti questi prodotti sali, zuccheri e grassi «cattivi» sono sempre abbondanti, perché contribuiscono alla palatabilità che invita all’acquisto e al consumo, con le inevitabili conseguenze.
Un esperimento condotto ai National Institutes of Health statunitensi su venti persone lasciate libere di consumare a volontà per due settimane prodotti semplici e per altre due alimenti ultraprocessati, a parità di distribuzione tra grassi, zuccheri e proteine, ha dimostrato che inoltre, nel secondo caso, le stesse persone tendevano a mangiare molto di più, con un maggiore apporto di calorie e un incremento di peso, che invece calava con l’alimentazione più semplice. Forse non si tratta quindi di una vera e propria novità, ma di un modo più semplice per guidare le nostre scelte a tavola come già sapevamo di dover fare: mangiare meno, con più frutta e verdura fresche e meno grassi animali.
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