I ragazzi di Abnub
Distesa nella valle del Nilo a pochi chilometri da Asyut, Abnub – il cui nome deriva dalla divinità egizia Anubis – resta una città sconosciuta a molti, nonostante i suoi 80 mila abitanti. Abnub è il luogo di nascita di papa Shenouda III di Alessandria, leader della chiesa copta dal 1971 al 2012. Per questo motivo, oltre a una popolazione di prevalenza musulmana, ci vivono anche numerosi cristiani copti. Abnub è anche il maggior centro da dove centinaia di ragazzi, ancora minorenni, partono in cerca di fortuna verso in nostro Paese. Infatti, il 70 per cento dei giovani egiziani che approdano sulle coste del Sud Italia proviene da questa cittadina. Nell’ultimo decennio, oltre al traffico di armi, Abnub vive anche di traffici illegali di esseri umani. Sono sempre adolescenti coloro che vengono «messi» in viaggio dalle famiglie. Una «trasferta oltremare» nella speranza che l’oneroso investimento economico possa avere una rendita proficua negli anni a venire.
Il vero viaggio della speranza inizia a Rashid, cittadina sul delta del Nilo a una cinquantina di chilometri da Alessandria d’Egitto. È in questo luogo che i trafficanti del mare prendono in consegna i ragazzi per «accompagnarli» nel Mediterraneo fino al Bel Paese. Da cinque a sette giorni di navigazione in condizioni estreme, per raggiungere un porto sicuro, per approdare a una nuova vita. I ragazzi egiziani, dopo anni passati nelle comunità fino al raggiungimento della maggiore età, spesso vivono in condivisione con altri connazionali con i quali suddividono le spese quotidiane. La loro missione è principalmente quella di inviare denaro alle famiglie. Passano sempre molti anni prima di un loro rientro nella terra natia. L’estenuante burocrazia, ma soprattutto il rischio di un reclutamento forzato nell’esercito egiziano, ostacola quasi sempre il ritorno a casa.
Sono molti coloro che trovano impiego nella ristorazione: è sempre più frequente, soprattutto nelle città del nord Italia, incontrare giovani pizzaioli o cuochi che dicono di arrivare da Abnub. Nei piccoli centri di provincia c’è anche chi lavora nell’edilizia come carpentiere o muratore. Alcuni purtroppo intraprendono carriere illecite legate al mondo dello spaccio o affiancano la malavita organizzata delle grandi metropoli.
I ragazzi di Abnub fanno fatica a integrarsi nella nostra società, difficilmente si staccano dalla cerchia di amicizie legate alla loro terra di origine. Si ritrovano spesso in gruppo, a casa di qualche parente più grande di loro: insieme ascoltano musica araba, cucinano cous cous e spiedini di agnello. A volte capita di incontrali nei bar di periferia: stanno seduti in disparte a guardare le partite di calcio di Champions League. È raro vedere questi ragazzi dagli occhi scuri nei locali frequentati dai nostri giovani: c’è sempre troppo alcol sui tavoli. Per loro è «haram» un certo tipo di vita occidentale, un illecito ingiustificabile nei confronti della fede islamica.
I più giovani – che raramente superano i 15 anni di età – aspettano con ansia il fine settimana: l’agognato appuntamento telefonico con la mamma, o col fratello minore. La lontananza da casa attanaglia i loro cuori, assieme al senso di disorientamento della solitudine. Ognuno di loro sogna il giorno in cui potrà tornare a casa, nella sgangherata Abnub, dove qualcuno, forse, li aspetta ancora per una stretta di mano.