Storie di stazioni e viaggiatori
Viene un tuffo al cuore e la pelle d’oca quando ci si sofferma a osservare sguardi, gesti, dettagli e quadri d’insieme nelle foto della mostra «La memoria delle stazioni. Il ritratto del Paese attraverso otto stazioni di grandi città italiane», organizzata dall’Archivio Luce Cinecittà in collaborazione con la Fondazione FS Italiane (catalogo Marsilio Arte-Archivio Luce Cinecittà), che, dopo l’allestimento all’Auditorium Parco della Musica, inizierà un tour all’estero. Prima tappa a Parigi presso la Galleria «Paris Cinema Club», a metà gennaio. La mostra, articolata in un centinaio di foto, è accompagnata da un filmato che racconta quasi un secolo di storia delle stazioni ferroviarie italiane.
Pare quasi un ossimoro parlare di «memoria» in un luogo d’elezione dell’attimo fuggente, dell’effimero, del transeunte per dirla col filosofo. Le stazioni ferroviarie sono, infatti, la metafora compiuta della vita umana: un luogo di passaggio verso un orizzonte infinito. Ciò nonostante, come nel caso della vita, è proprio la memoria di questo passaggio, custodita dalle stazioni, che ne storicizza simbolicamente il valore. A partire dalle levigate architetture talvolta monumentali, talaltra minimaliste delle stazioni stesse, figlie di un’Italia che, soprattutto per gran parte del Novecento, considerò la ferrovia come il mezzo di trasporto per antonomasia, prima dell’esplosione del traffico aereo commerciale. Massicce facciate o slanciate combinazioni geometriche, gallerie centrali, enormi scaloni, come le pietre di Venezia dell’omonimo trattato di John Ruskin, evocano i proustiani tempi perduti, insieme al vociare convulso di mille passeggeri, allo sbuffare sincopato delle vaporiere, allo stridore dei freni dei lunghi convogli, ma anche ai pianti e agli addii, alle promesse di eterno amore, ai ricongiungimenti e agli abbracci ritrovati.
La stagione d’oro del viaggio in treno, per lavoro, svago o turismo, si fonde, in queste immagini suggestive, con i sentimenti dei suoi protagonisti. Non serve scomodare Ulisse per ricordare il mito del viaggiatore che anela a ritornare alla patria avita e ai suoi affetti, peregrinando tra mari procellosi pieni di insidie; più recentemente tra coincidenze perdute, scioperi e immancabili ritardi. La dinamica è la stessa: il desiderio di raggiungere la meta, la perdita di alcune certezze, la necessità di affrontare le incognite del viaggio, la speranza di un approdo sicuro. Dopo la sbornia low cost delle compagnie aeree, le strade ferrate hanno ritrovato una nuova vitalità grazie all’alta velocità che ha soppiantato espressi, direttissimi, intercity e via velocizzando, diventando oggi addirittura più competitiva degli aviogetti sia sulle tratte nazionali che europee, e svuotando di significati anche l'anacronistica divisione classista dei treni di un tempo.
Adesso le carrozze hanno nomi suadenti, accattivanti, spesso esotici che, grazie ai codici del marketing, rimandano sempre al relax e all’iperconnessione online. La vecchia ritirata è divenuta una confortevole toilette, il venditore di panini e bibite ha ceduto il passo ai camerieri in livrea. E nessuno giudica più gli altri per come si vestono, per il bagaglio che portano, né si lamenta della maleducazione di intemperanti schiere di urlatori perennemente in conversazione con i loro inesauribili smartphone.
Crocevia di emozioni
A essere protagoniste di questo viaggio nella memoria non sono solo le stazioni. In questi luoghi brulicanti di vita e di affanni, ma anche di ambizioni e rimpianti, ritroviamo il denso vissuto di generazioni che a queste stazioni hanno conferito il carisma del mito grazie a gesti semplici e spontanei, spesso involontari e imprevisti, immortalati da scatti implacabili: l’ultimo saluto ai congiunti in partenza, la lettera d'addio del migrante alla famiglia, il caffè preso al bar tra il tintinnare di cucchiaini e tazzine, l’arrivo degli alpini, l’incontro casuale di amici sulla stessa banchina, l’ardua gestione di pargoli capricciosi in attesa di un treno. Le stazioni ferroviarie sono la Spoon River degli italiani in viaggio, e non solo. Rappresentano gli snodi delle migrazioni, in passato dal Sud al Nord del Paese, oggi anche da e verso l’estero.
I lastricati di marmo sono stati spesso calcati dalle medesime famiglie, generazione dopo generazione: bisnonni, nonni, genitori, figli, nipoti, con le loro valigie; un tempo accompagnate dai carrelli scalcagnati e cigolanti di affannati portabagagli, oggi munite di rumorosissime ruote. Sulle otto stazioni in mostra, scrivono anche altrettanti autori: Mauro Covacich per Trieste, Gaia Manzini per Milano, Tiziano Scarpa per Venezia, Enrico Brizzi per Bologna, Sandro Veronesi per Firenze, Melania Mazzucco per Roma, Valeria Parrella per Napoli, Nadia Terranova per Messina, accompagnando con i loro racconti la vita delle rispettive città. La fotografa Anna Di Prospero ha rivisitato al femminile, con i suoi scatti, ciò che la contemporaneità ci restituisce del passato di questi luoghi suggestivi.
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