Uso e abuso del digitale
Nadia, madre di due ragazzi di 11 e 14 anni, mi manda un messaggio accorato: «Non so più da che parte girarmi. Mi sento impotente. Mio figlio grande non si stacca dai videogiochi, non si stacca da YouTube… Non si stacca da nulla. Se ne sta sempre nella sua camera appiccicato a questo dispositivo infernale. Non sembra più interessato alla scuola e dice che, se potesse, smetterebbe volentieri. Non riesco a distoglierlo in alcun modo. È diventato un tutt’uno con i suoi maledetti controller». Nadia non fa altro che confermare quello che scientificamente già conosciamo: la difficoltà dei ragazzi a staccarsi da questa dipendenza.
La natura compensativa del cervello degli adolescenti li porta alla continua ricerca di fonti di piacere. Videogiochi e smartphone agiscono sulle aree dopaminergiche del cervello e il loro utilizzo compulsivo, protratto oltre le due ore – quando cioè il cervello non è più in grado di staccarsi –, può produrre il medesimo effetto delle sostanze stupefacenti. I videoschermi agiscono su determinate aree cerebrali tipiche dell’adolescenza, specie in soggetti con fragilità e una forte sensibilità emotiva. Bisognerebbe fornire informazioni molto precise sui rischi connessi all’abuso dei videogiochi e degli smartphone; rendere noto, per esempio, che il loro utilizzo è davvero pericoloso sotto i 14 anni, per lo stesso motivo per cui alcol e tabacco sono proibiti fino ai 18.
In quinta elementare e prima media, sarebbe opportuno fornire ai ragazzini un semplice telefono cellulare, non un computer tascabile. L’adolescenza è l’età in cui i padri, quelli «lasciati in panchina o abbandonati in soffitta» vanno «richiamati in servizio» per svolgere la loro funzione di bonifica degli interventi educativi. Sono loro i primi titolati a definire i necessari limiti temporali all’utilizzo. Le alternative esistono: sport, socialità, immersione nella natura, musica, teatro, scrittura, lettura. E il volontariato giovanile che forma, fa sentire l’importanza del lavoro di squadra e dell’appartenere a uno stesso destino. Inoltre, a chi ha compiuto 16 anni, si può proporre un’esperienza estiva di lavoro.
Da sempre sostengo che i genitori non possono essere lasciati da soli nella gestione di questa vera e propria emergenza storica, una novità assoluta rispetto alle generazioni precedenti. Occorre che la politica e le istituzioni offrano una sponda alle famiglie mettendo, anche in questo caso, dei limiti chiari. L’Italia ha recepito la normativa europea sui social stabilendo l’età minima per l’iscrizione a 14 anni, normativa che, purtroppo, non è diventata regola corrente nelle famiglie, anche per la scarsa conoscenza della stessa. In Francia si sta discutendo sul definire il limite a 15 anni. È necessario. Sperare che genitori sempre più fragili riescano nell’impresa di arginare la capacità pervasiva di un marketing digitale così aggressivo rischia di accentuare i gravi danni a una generazione che già ha subito la clausura del covid. Non lasciamo da soli i genitori, creiamo normative che possano aiutarli nel loro difficile e coraggioso compito educativo.
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