Eppure il vento soffia ancora
Quest’estate mi sono incantato diverse volte a osservare che cosa succede in un porto. E ho visto gesti molto significativi ed evocativi. In fondo, sapete a che cosa serve un porto? A due cose fondamentali: a far attraccare le barche e a farle salpare. Il termine «attraccare» deriva dallo spagnolo atracar e significa accogliere le barche in un posto sicuro per consentire le operazioni di sbarco e imbarco. Il porto, infatti, è un luogo di relazioni, all’interno del quale le persone dovrebbero sentirsi sicure e accolte perché possano avere degli scambi significativi. Il parallelismo con il ruolo di un genitore, un educatore o un insegnante nasce automatico: la loro missione è costruire sicurezza; le funi che tengono la barca vicina alla banchina sono i legami affettivi, le relazioni che danno stabilità e permettono alla «barca» di riposare, esprimersi e crescere. Cose che non sono per niente scontate.
Ma andiamo avanti nell’osservazione: mi hanno anche affascinato le operazioni di distacco della barca dalla banchina, manovre che consentono alla barca di salpare. Intanto, bisogna sciogliere i nodi e «smollare» le funi e poi aiutare la barca ad allontanarsi verso il mare aperto. A me, lo sapete, piacciono le metafore perché sono un bel modo di comunicare. E così, subito il mio pensiero è andato ai tanti genitori con figli con disabilità, e alla loro difficoltà di smollare gli ormeggi, cioè di lasciare andare la «barca» in quel mare aperto che rappresenta sia la libertà che la paura dell’ignoto.
Il mare – da sempre metafora della vita – può contenere pesci buoni da pescare e di cui nutrirsi, ma anche pericolosi squali. Il mare, ancora, può essere calmo e accogliente oppure mosso, addirittura burrascoso, rappresentando così un pericolo per la navigazione. Tuttavia, il vento che fa agitare il mare può essere sfruttato e può essere una risorsa: senza vento si è completamente immobili, con il vento, invece, se sai manovrare le vele e ti sai orientare, puoi fare molta strada. Ecco, io credo che la paura principale dei genitori sia proprio quella che i figli non sappiano orientarsi, soprattutto quando hanno delle disabilità e potrebbero non avere la situazione sotto controllo, e dunque trovarsi in balìa delle onde o a dover dipendere da altri, da situazioni e da contesti che molto spesso possono non essere inclusivi.
Un altro elemento fondamentale è l’autonomia, che non vuol dire «saper fare tutto da soli», ma sapere dove si vuol andare e in che modo andarci. L’autonomia è anche la capacità di farsi degli amici e di farsi aiutare nel condurre la barca. Il vento che soffia ha la forza di spingere la barca, ma serve un amico che aiuti a muovere le vele e a «fare rotta» verso nuovi orizzonti. Anni fa ho avuto l’onore di conoscere il famoso cantautore Pierangelo Bertoli, che ha scritto molte belle canzoni e vorrei concludere questo mio articolo con un suo verso, tratto dal brano Eppure soffia (1976), che è pieno di speranza: «Eppure il vento soffia ancora, spruzza l’acqua alle navi sulla prora e sussurra canzoni tra le foglie, bacia i fiori, li bacia e non li coglie». E voi avete fiducia che il vento soffi ancora? Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mia pagine Facebook e Instagram.
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