Ignoranza
Quanto è importante conoscere, sapere, essere informati da più punti di vista per condurre al meglio la propria e vita e quella delle società in cui viviamo? A questa domanda probabilmente gran parte di noi risponderebbe che è importante, sulla scorta anche di una visione della storia percepita spesso come un avanzamento di conoscenze scientifiche, sociali, culturali, tecnologiche, che ha portato l’umanità a un progressivo sviluppo. Ma questa non è che una parte della realtà, tutta la storia umana è anche attraversata dalla presenza dell’ignoranza o meglio delle «ignoranze» che in molti casi hanno influenzato e deviato il corso degli eventi o portato alcune società o individui a fare addirittura alcuni passi indietro. Pensiamo oggi, per esempio, alle elezioni pilotate dalle fake news o al riemergere di tendenze antiscientifiche, negazioniste e complottiste, pur vivendo tutti noi nell’epoca più tecnologica e «informata» della storia.
A indagare questa geografia dell’ignoranza è un libro dello storico di fama internazionale Peter Burke, Ignoranza, pubblicato in Italiano da Raffaele Cortina editore. Il libro è più un saggio per esperti o appassionati, che un testo di divulgazione e non tanto per la difficoltà di linguaggio o di comprensione, ma per la quantità di dati, di fatti e di raffronti tra epoche diverse, che coprono un periodo di storia occidentale, lungo 500 anni.
La disciplina che manca
Al termine «ignoranza» Burke non attribuisce per forza un significato negativo, si tratta di assenza di conoscenza, che colpisce un po’ tutti: ognuno di noi sa o non sa qualcosa, specie in una società complessa come quella di oggi. Burke aggiunge che di ignoranze ce ne sono di vario tipo, di individuali o di collettive, di indotte dalla volontà per esempio per controllare un gruppo di persone, di ostacolate da interessi o pregiudizi o provocate dall’avvicendarsi delle epoche, perché è normale perdere nel tempo le conoscenze delle generazioni precedenti. Tuttavia una disciplina che studia le ignoranze manca, in quanto aiuta a sistemare dei tasselli importanti per la comprensione della nostra storia. Una disciplina ancora agli albori, per ora confinata alle ricerche di alcuni studiosi, a cui questo libro inizia a dare una certa sistematicità, anche se le «caselle bianche», avverte Burke, sono ancora molte.
Ma perché mai è importante avere anche la visione del mondo e della storia dal punto di vista delle ignoranze? Vediamone alcuni esempi, partendo dall’ignoranza in tempo di guerra, tanto per restare nell’attualità.
La guerra è uno degli scenari umani in cui si prendono decisioni all’apice dell’incertezza. Le operazioni militari sono anche «battaglie fra l’ignoranza e la conoscenza, in cui si cerca di mantenere il nemico ignorante dei propri piani e si cerca di scoprire i suoi». È anche la situazione in cui gli errori si pagano a un prezzo più alto. «Il vincitore è quello che commette meno errori o errori meno gravi». Le «fake news», un tempo chiamate «false notizie», hanno sempre giocato un ruolo importante nei conflitti. Ma altrettanto fondamentale è la conoscenza o ignoranza del nemico, come dimostra la guerra in Vietnam (1955-1975). La disfatta statunitense fu causata da una serie di ignoranze: i comandanti americani contarono eccessivamente sulla loro superiorità tecnologica contro un «popolo di contadini in bicicletta», come li definì James Gibson, sociologo, nel suo studio della guerra. «Il grande svantaggio militare degli invasori – scrive Burke – fu il fatto di essere forestieri che nella maggior parte ignoravano la lingua, le consuetudini e il territorio del Paese in cui combattevano».
Non avevano minimamente considerato la resilienza di un popolo, che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di difendere i suoi valori. Poi c’era l’ignoranza dei governanti che facevano pressione sui militari per avere segnali di progresso, così che i militari iniziarono a falsificare i rapporti, soprattutto sul numero delle vittime. Anche la stampa americana dimostrò la sua ignoranza: non aveva idea né del Paese, né dello scenario del conflitto e quando finalmente il giornalista freelance Seymour Hersh rivelò il massacro di civili nel Villaggio di My Lai in Cambogia, la rivista «Life» rifiutò di pubblicarlo. Per tutte queste ragioni anche l’opinione pubblica era ignorante. Una fila di ignoranze che costò agli americani 20 anni di conflitto, 65 mila morti, 168 miliardi di dollari e «un’ignominiosa disfatta».
Se l’ignoranza è al potere
Altro esempio qui riassunto per brevità è l’ignoranza in politica. Vediamo sempre più spesso a livello globale capi di stato o membri del governo che arrivano al potere senza avere le competenze adatte, a volte addirittura contando su fake news e discutibili promesse elettorali. Burke cita molti casi. Ma alcune frasi meritano di essere lette con attenzione: «L’ignoranza delle persone comuni è una risorsa per i regimi e un motivo di ansia per le democrazie», rende per esempio chiaro che le ignoranze sono più o meno utili a seconda dei contesti e che più c’è conoscenza più c’è democrazia.
C’è poi una frase chiave, ripetuta più volte nel corso delle oltre 400 pagine e che addirittura chiude il saggio: «Il guaio è che coloro che detengono il potere spesso mancano delle conoscenze di cui avrebbero bisogno mentre coloro che possiedono quelle conoscenze non hanno il potere». Una frase che Burke riferisce anche all’oggi, in cui molte conoscenze nuove sfuggono a chi governa, in un mondo che ha bisogno più che mai di persone competenti e di visione e soprattutto di una nuova collaborazione tra chi detiene diverse conoscenze e le strutture di potere. Chissà che quello che non abbiamo imparato dalla storia della conoscenza, lo impareremo dalla storia dell’ignoranza.
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